Privacy Policy Intervista ad Alessandro Del Piero

Intervista ad Alessandro Del Piero

10 Dicembre 2019

Provate, per un attimo, a chiudere gli occhi.
Provate a ripercorrere la vostra vita attraverso giocate indimenticabili. Siamo abbastanza sicuri che, al di là della fede calcistica di ognuno di voi, la maggior parte delle immagini che hanno popolato le vostre menti in questi attimi, abbia avuto come protagonista un tocco magico di Roberto Baggio, una giocata di Francesco Totti, o un gol “alla Del Piero” realizzato proprio dall’originale.


Sì, Il numero “10” racchiudeva in sé la vera essenza del calcio: la tecnica, la classe, la visione di gioco, insomma la magia di questo sport con cui siamo cresciuti e che, piano piano, stiamo vedendo svanire. Lo scorso 6 luglio a Cesena abbiamo avuto l’onore di poter aver come capitano della nostra squadra uno dei numeri 10 più emblematici, non solo per il talento ma anche per il comportamento, della storia del calcio italiano ed internazionale: Alessandro Del Piero. Oltre ad emozionarci rivendendolo in campo, abbiamo passato del tempo con lui e ne è uscita questa bella chiacchierata.

Quale mood si respira al raduno di ON?
Innanzitutto, grazie. Provo molta felicità perché è bello ritrovare vecchi compagni, vecchi avversari, e lo spirito di un calcio particolare, vissuto in una maniera un po’ più pura. Tutti noi che accettiamo di partecipare a questo bellissimo evento lo facciamo per il piacere di giocare e di ricordare i bei momenti delle nostre carriere. È stupendo, inoltre, vedere la passione dei tifosi che ci hanno seguitodagiocatorielofanno ancora tutt’oggi.

Consiglieresti ai tuoi colleghi di partecipare?
L’ho già fatto perché si respira un’atmosfera molto piacevole. Vengono valorizzati degli aspetti molto interessanti. È un onore per noi tornare in campo per trasmettere i buoni valori dello sport.

Quali sono i valori che emergono?
Indubbiamente il piacere e il gusto dello sport del calcio, di per sé fondato sulla passione che è la forza trainante di tutto. Lo è stata per la mia carriera, come perquelladituttiimieicolleghie per quella più o meno grande di tutti gli appassionati d’Italia. Gli appassionati di calcio: si torna sempre su questo vocabolo che è la chiave di tutto. È quello che ti porta a fare sacrifici, a trovare del tempo, a pensare a sognare. Questi sono gli aspetti più belli legati al mondo dello sport.

Una frase per definire ON?
Passione per lo sport.

Cosa vuol dire essere una bandiera?
Indubbiamente il calcio è cambiato tanto sotto vari punti di vista: dagli aspetti economici, all’apertura mediatica che istantaneamente può diventare mondiale tramite i social media. In alcuni casi ovviamente sì, c’è la possibilità di perdere un attimo il lume della ragione. A me, più che fare una valutazione su quello che è oggi il calcio, con i pro e i contro, piace ricordare quello con cui sono cresciuto. Penso che sia poi anche il motivo per il quale sono diventato il capitano di Operazione Nostalgia Stars. Abbiamo parlato di passione, abbiamo parlato di valori, abbiamo parlato di dedizione e di sacrificio, cose che indubbiamente ci sono anche oggi. Noi le abbiamo già sperimentate, ed è bello poterle condividere e veicolare anche alle nuove generazioni.

Il collega con più fair play?
Ci sono tanti esempi di fair play che sono stati anche molto bene evidenziati, per fortuna, nel corso di questi anni calcistici. Quello a me più vicino, in una partita unica in maniera negativa, fu a Perugia, quando perdemmo lo scudetto all’ultima giornata. A pochi minuti dalla fine, in un momento dove un pareggio per noi sarebbe stato oro, una rimessa laterale in zona d’attacco venne assegnata a noi. Pessotto, che giocava con me, la convertì in una rimessa a favore della squadra avversaria, perché riconobbe che era stato lui l’ultimo a toccare la palla. In un momento così delicato e importante, dove faresti di tutto per ottenere il risultato, la freddezza e il valore di quel gesto di Gianluca furono eccezionali.

Cosa diresti a un bambino che sogna di diventare calciatore?
Non è facile dare un consiglio ad un bambino, se non toccando dei tasti che per me sono fondamentali. Il piacere di divertirsi, il riscoprirsi, imparare, ascoltare, vedere, valutare, provare. Momenti che poi ti portano a sognare. Queste sono cose che ho vissuto nella mia esperienza, e all’interno di queste poi tu troverai la tua definizione di calciatore, grande o piccola che sia, professionista o meno. È una crescita continua, sono prove della vita. Lo sport è bello per questo, perché ti pone davanti a scelte, a piaceri e a dispiaceri.

E al padre di un giovane calciatore?
Questa è una cosa un po’ più difficile. Ogni bambino ha una personalità diversa. Ogni padre affronta le vicissitudini del figlio in maniera singolare, perché purtroppo è condizionato dall’aspetto affettivo. Questo accade a tutti, a me compreso. La cosa più importante, quindi, è riuscire a valutare a freddo, perché a caldo si è molto più emotivi. Bisogna capire la reale situazione, bisogna saper accettare le sconfitte nella maniera giusta e supportare il proprio figlio. È un argomento molto delicato e sarebbe bello soffermarsi maggiormente.

Come mai scegliesti l’Australia?
È stata una scelta nata per diversi motivi. Io non volevo affrontare un campionato europeo, con il rischio di incontrare la Juve. Non volevo vivere e ripercorrere delle emozioni che avevo già provato. Volevo fare qualcosa di diverso, di nuovo. Sono andato a toccare, quindi, dei tasti diversi. Il campionato australiano è arrivato dopo che una squadra, una città, una lega, e per fino lo Stato, mi hanno invitato a prendere parte a un progetto che andava al di là di una esperienza calcistica. Mi hanno convinto ad affrontare quella che poi è stata una avventura meravigliosa, finalizzata alla crescita del calcio australiano. Al termine di quei due anni c’è stata anche la vittoria dell’Asian Cup da parte della nazionale australiana, il perfetto completamento di quell’esperienza.

Cosa hai imparato da quella esperienza?
Ogni tipo di esperienza lascia qualcosa, dipende da quanto tu sei aperto ad accettarla. Molte volte sono proprio le più brutte che ti insegnano che avresti dovuto agire in maniera diversa o che in futuro dovrai comportarti diversamente. L’esperienza australiana mi ha insegnato a conoscere un nuovo paese. Dopo diciannove anni per la prima volta mi sono ritrovato in una situazione e in un contesto completamente nuovi. Sono accadute tante cose in quei due anni. Sicuramente ho imparato a vedere il calcio sotto un altro punto di vista, perché pur essendo professionistico, è vissuto in maniera diversa, con caratteristiche differenti.

Berlino 2006. Raccontaci la corsa e l’assist del Gila.
Cosa pensavo durante quella corsa? Non pensavo a niente, pensavo solo ad arrivare in fondo. Cercavo di mandare dei segnali energetici a Gila, in maniera tale che potesse riuscire a vedermi. Lui fece tutto in maniera naturale. Naturale come è stato appunto quel nostro Mondiale, con la passione con cui abbiamo inseguito quel sogno, con la determinazione che abbiamo portato avanti, con la naturalezza con cui escono certe cose. Lui è rientrato per cercare l’uno contro uno, come nella famosa telecronaca che ci ricordiamo, e poi vide il mio inserimento. Un assist spaziale, se ne è parlato tanto, poco, dipende dai punti di vista. Però io ogni tanto gli mando un grazie in chat: “Grazie Gila”. E lui mi risponde: “Che è successo, perché?”. “No, niente. Per l’assist del 2006”.

Cosa pensavo durante quella corsa? Non pensavo a niente, pensavo solo ad arrivare in fondo. Cercavo di mandare dei segnali energetici a Gila, in maniera tale che potesse riuscire a vedermi. Lui fece tutto in maniera naturale. Naturale come è stato appunto quel nostro Mondiale, con la passione con cui abbiamo inseguito quel sogno, con la determinazione che abbiamo portato avanti, con la naturalezza con cui escono certe cose. Lui è rientrato per cercare l’uno contro uno, come nella famosa telecronaca che ci ricordiamo, e poi vide il mio inserimento. Un assist spaziale, se ne è parlato tanto, poco, dipende dai punti di vista. Però io ogni tanto gli mando un grazie in chat: “Grazie Gila”. E lui mi risponde: “Che è successo, perché?”. “No, niente. Per l’assist del 2006”.

Vialli o Ravanelli?
Decidere fra due fratelli che con me hanno vinto una Champions League è impossibile. Mi dispiace, non potrei. Mi butterei giù io per loro pur di non scegliere.

Ultime storie