Privacy Policy Andreas Andersson e i suoi "amici": i 25 flop del Milan dal 1996 a 2006 ti svolteranno la domenica

Andreas Andersson e i suoi “amici”: i 25 flop del Milan dal 1996 a 2006 ti svolteranno la domenica

10 Aprile 2022

La gloriosa storia del Milan ha visto tantissimi campioni vestire la maglia rossonera: da Baresi a Maldini, da Rivera a Kakà, da van Basten a Shevchenko per citarne alcuni. Nel tempo però i rossoneri sono incappati anche in qualche bidone tra chi è stato pagato eccessivamente, chi non è riuscito ad emergere e chi è arrivato attraverso raccomandazioni illustri. Proprio di loro ora andremo a parlare: dei più grandi flop del Milan nel decennio fra il 1996 e il 2006.

Anni di successi, durante i quali il Diavolo è riuscito a toccare i punti più bassi e più gloriosi della sua storia recente. Dai disastri di Tabarez e Terim, alla gloria immemore dell’epopea ancelottiana.

Non ce ne vorranno, dunque, gli estimatori di Florin Valeriu Raducioiu, Luther Blissett o Paulo Futre. Così come quelli di Tabaré Viudez o Mathias Cardacio. Essi rimarranno sempre nelle nostre memorie. Ma questa volta faremo a meno di menzionarli esplicitamente. Sebbene rimangano ben visibili i solchi lasciati nei cuori dei tifosi rossoneri.

Winston BOGARDE

«Sono venuto qui per giocare sempre e vincere tutto». Così si presentò Bogarde ai tifosi milanisti. Peccato che la sua esperienza italiana dimostrò l’esatto opposto. Arrivato a parametro zero dall’Ajax insieme all’altro olandese Kluivert, il pensiero di tutti i Rossoneri tornò inevitabilmente a quel trio olandese (Rijkaard-Gullit-Van Basten) che portò il Milan a vincere tutto e sognando che la nuova generazione di olandesi riesca a emularli. Ma le cose andarono nel peggiore modo possibile. Bogarde si rivelò un energumeno di un metro e novanta, lento e senza gran cognizione del suo ruolo. Lasciò il segno solo per l’artistico retropassaggio di Udine, con il quale consegnò la palla sui piedi dell’incredulo centravanti che realizzò, così, il gol della vittoria per l’Udinese (2-1). Il Milan se ne liberò subito a dicembre, dandolo al Barcellona, voluto dal suo vecchio allenatore van Gaal. Il Milan non fu il suo unico fallimento, visto che tra Milan, Barcellona e Chelsea in otto stagioni giocò la bellezza di cinquantatré partite. Lautamente pagate, considerando che al Chelsea, in quattro stagioni, guadagnò in totale dodici milioni, giocando solo undici partite. Tanto scarso quanto fortunato potremmo dire.

Andreas ANDERSSON

Arrivato dall’IFK Göteborg per fare la terza punta, dietro Weah e Kluivert, Andersson sembrava certo di imporsi al Milan: «Cercherò di fare meglio di Kennet Andersson e di dimostrare che il vero Andersson sono io». Peccato cheil biondo attaccante vedrà il campo solo in tredici occasioni, dimostrando di essere tutto tranne un giocatore in grado di pungere. Leggerino ed evanescente, il suo unico gol fu all’Empoli grazie a una papera di Pagotto, portiere allora in prestito proprio dal Milan. Tuttavia, l’addio dello svedese viene comunque annoverato come una delle maggiori plusvalenze stagionali: dopo aver versato la somma di tre miliardi al suo club di provenienza, il Condor Galliani ha affilato gli artigli e spiegato il volo in direzione Newcastle-upon-Tyne, convincendo i Magpies a staccare un assegno da quasi dieci miliardi di lire. Capolavoro.

Jesper BLOMQVIST

Il Pinguino Biondo arrivò al Milan nel dicembre 1996 pochi giorni dopo la clamorosa eliminazione dalla Champions League ad opera dei norvegesi del Rosenborg. La speranza risiedeva nell’auspicio di una svolta nelle fortune del club dopo il suo arrivo. Ma sulla sponda rossonera del Naviglio, Jesper non riuscì a fare alcunché di eccezionale, come ci si augurava: è vero, non giocò male, ma da lui ci si attendeva molto di più. Realizzò un gol, al Bologna a San Siro, su assist di Weah, ma non riuscì mai ad incidere, complice la difficile annata del Diavolo. Fu anche soprannominato Casper, sia per l’assonanza con il suo nome che per la sua similitudine con il simpatico fantasmino: spesso, infatti, era così avulso dal gioco da sembrare quasi un ectoplasma.

Dario SMOJE

Fortemente voluto da Capello, tanto che di lui disse: «Potrebbe essere più che una sorpresa. Mi ricorda Collovati». Smoje, all’epoca ventenne, era un altissimo difensore croato di belle speranze, il cui fiore all’occhiello era il colpo di testa. Tuttavia, questo lungagnone centrale destro (alto ben 192 centimetri), non giocò quasi mai. Si ricorda solo qualche rara apparizione (in tutto sei in campionato, più qualche gettone in Coppa Italia), che non gli permise di mettersi in mostra, nonostante la fiducia di Capello, che credeva nelle sue qualità. Comunque, in quelle poche gare giocate, si poté intravedere la sua straordinaria lentezza, inadeguata per il suo ruolo in un campionato impegnativo come la Serie A. Fu ceduto alla succursale brianzola del Monza, dove disputò due campionati, prima di una fugace esperienza con la Ternana prima di tornare in patria con le proverbiali pive nel sacco.

Drazen BRNCIC

Soprannominato scherzosamente Codice Fiscale, il croato ebbe la fortuna di disputare il suo unico campionato degno di nota della sua esperienza italiana con il Monza, allora la società-satellite del Milan che per questo l’acquistò. Ma a Milanello si accorsero ben presto che Drazen era tutto fuorché un fenomeno. Astutamente Galliani lo rifilò ai cugini interisti all’interno dell’operazione che portò Andrea Pirlo a vestire il rossonero. Tuttora, questo scambio assume i contorni della mitologia.

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