1908-2021. 113 anni a tinte nerazzurre
9 Marzo 2021
Tanti auguri alla Beneamata. Forse non li dimostra, ma sono 113 anni. Mica bruscolini.

La società Foot-Ball Club Internazionale nasce “per dispetto” da una costola del Milan Football Club. E, in fondo, è sempre stato questo il suo carattere che la contraddistingue tuttora: avanguardista, imprevedibile, indisponente. Talmente unica da suscitare amore oppure odio. In una sola parola: pazza. Peculiarità che son gelosamente conservate nel suo DNA, diventandone la sua griffe. Effigi limpidamente distinguibili sin dal giorno della sua fondazione.
Sono le 11:30 del 9 marzo 1908 quando l’atto costitutivo della nascitura viene redatto da quarantaquattro soci dissidenti del sodalizio rossonero e firmato in calce dal pittore futurista Giorgio Muggiani sui tavoli del ristorante Orologio.

«È il titolo di un nuovo Club sorto da pochi giorni a Milano. Il nuovo Club, nato da una deplorevole scissura che non pochi malintesi hanno creato in seno al Milan Club, è composto in maggioranza di attivi footballey e di parecchi appassionati. Il massimo buon volere ed i migliori propositi sono le basi della nuova società che per ora promette poche ma buone cose.
Scopo precipuo del nuovo Club è di facilitare l’esercizio del calcio agli stranieri residenti a Milano e diffondere la passione fra la gioventù Milanese, alla quale vanno fatte speciali e assai lodevoli felicitazioni. I nostri auguri di vita lunga, prospera e, quel che più conta, concorde vadano al nuovo sodalizio, che troverà certo nei suoi fondatori quella buona volontà necessaria perché i buoni intendimenti manifestati abbiano il miglior successo» recita l’articolo della Gazzetta dello Sport che, il giorno dopo l’evento, riporta sulle sue colonne la cronaca della dolorosa separazione sportiva, vissuto dalla Milano dell’epoca come un vero scossone.
La parola d’ordine è: rottura. Con il passato, con i colori, con le regole già vetuste per un gioco che fa del futuro il suo motore propulsore. Il motivo della levata di tessere da parte dei vecchi soci del Milan Football Club sta nella contrarietà della società rossonera di consentire l’impiego di calciatori stranieri. Ed è proprio qui che sta la scelta di una denominazione inusuale e di rottura, in anni in cui ci si rifaceva a concetti d’ispirazione più classica. E quale scelta migliore per i colori se non l’azzurro, in diametrale contrapposizione con il rosso dei cugini? La frattura è netta ed i confini son tracciati. In poco tempo gli interisti, che si identificano con l’anima borghese del capoluogo meneghino, vengono soprannominati bauscia, mentre la matrice operaia del Milan si guadagna presto l’appellativo di casciavìt.
Nasce così una delle rivalità più forti che affonda le sue radici non solo nella semplice rivalità sportiva, ma nell’identità più intima e profonda di una città. Una divisione che, man mano con il tempo, va oltre i confini di Porta Ticinese e Porta Romana per diffondersi sull’intero stivale. Passano gli anni, cambiano gli uomini, ma non la passione che separa ed accomuna un numero sempre maggiore di milanesi ed italiani. Il Biscione e il Diavolohanno animato più di un secolo di battaglie squisitamente sportive, sino ad arrivare ai giorni nostri. Ed il merito sta da una parte e dell’altra.
Celebriamo, oggi, gli uomini che si son resi protagonisti d’imprese che, come marchi di fabbrica, contraddistinguono epoche e gesta che rimangono ben nitide nelle memorie di nonni, papà e ragazzi che hanno l’Inter nel cuore. Un gol-simbolo per ogni decennio, dagli anni ‘60 – gli anni della Grande Inter di Herrera – ad oggi. Per averli sentiti raccontare, per averli intravisti su un nebbioso Brionvega in un impasto di sfumature grigie, per averli vissuti con gli occhi pieni di gioia, lacrime e stupore. Questo è il nostro tributo all’Internazionale Football Club Milano.
ANNI ‘60 – Joaquim PEIRÒ – Inter-Liverpool 3-0 (12 maggio 1965)

Memorabile nell’epico. Forse non c’è altro modo per descrivere quanto fosse importante la rete segnata dallo spagnolo Peirò in quell’incredibile serata milanese di più di quasi sessant’anni fa. Si disputano le semifinali della Coppa dei Campioni e l’undici di Herrera è il detentore del trofeo, vinto l’anno prima al Prater di Vienna contro il Real Madrid di Puskas e Di Stefano. Sono la squadra da battere e lungo la loro strada si presentano, agguerriti, i Reds di Shankly, decisi ad iscrivere il proprio nome sul piedistallo della coppa. E gli inglesi che si presentano a San Siro manifestano quella sicumera che, agli occhi di Herrera e dei novantamila assiepati sugli spalti, non fa altro che aumentare la tensione agonistica prima del match.
Il Mago, dopo il 3-1 subito all’andata, era furioso dalla rabbia: il suo collega, mentre gli altoparlanti di Anfield Road diffondevano le note di When the Saints go marchin’ in, andò a chiedergli informazioni circa il gioco del Benfica, la squadra che avrebbero affrontato in finale. Un simile smacco non poteva passare in secondo piano e dunque il tecnico argentino caricò a mille la vigilia del match. I tifosi accolsero gli inglesi in un’atmosfera incandescente, quasi stordendoli per l’elettricità nell’aria. E la missione diede i suoi bei frutti. Dopo otto minuti, una punizione a foglia morta di Corso consente ai nerazzurri di piazzare il primo mattone su cui edificare la rimonta. Non passa neanche un minuto che Lawrence, su una nuova folata avversaria, riesce a conquistare il pallone.
Mentre il numero uno dei Reds riflette su cosa fare, commette un’ingenuità. E lì, dietro di lui, c’è Peirò. Pronto a far la storia. Joaquin sa che deve giocarsi tutte le sue carte nelle competizioni europee. Herrera, infatti, l’ha voluto in squadra proprio per questo: in campionato deve sperare nelle indisposizioni dei titolarissimi Jair e Suarez per sperare di scendere in campo, considerando il limite di due stranieri schierabili in campo.
Lo spagnolo, quindi, si proietta in avanti e mentre Lawrence è lì che cogita, facendo rimbalzare il pallone sul terreno, quasi non crede ai suoi occhi: la sufficienza del numero uno avversario gli consente di anticiparlo beffardamente e depositare in porta la rete del 2-0. E non sono passati neanche cinque minuti. San Siro esplode. Gli inglesi protestano. Ma l’arbitro convalida. È una rete carica di significato: perché tramortisce il Liverpool e lancia la rimonta dei suoi verso il 3-0 finale di Facchetti che consente ai nerazzurri di disputare la finalissima – vincendola – fra le mura amiche contro il Benfica di Eusebio. È una rete indimenticabile, che condensa in un gesto tecnico tutto il ventaglio d’emozioni che questo maledetto, adorabile gioco provoca in ognuno di noi.
INTER-LIVERPOOL 3-0
Inter: Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Peirò, Suarez, Corso. Allenatore: Herrera.
Liverpool: Lawrence, Lawler, Moran, Strong, Yeats, Stevenson, Callaghan, Hunt, Saint John, Smith, Thompson. Allenatore: Shankly.
Arbitro: Ortiz de Mendebille (Spagna).
Reti: 8’ Corso, 9’ Peirò, 62’ Facchetti.

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