Quando i numeri di maglia diventano Arte povera o in alcuni casi delle belle cafonate
17 Novembre 2021
“Genialità s. f. [dal lat. tardo genialĭtas -atis, solo col sign. 1]. – 1. ant. e letter. Piacevolezza, affabilità nei rapporti tra persone; sentimento di simpatia. 2. Eccezionale vivacità inventiva e creativa: un inventore di grande g.; artista non privo di g.; svolgere un argomento con g., condurre con g. una difficile impresa”.
L’Enciclopedia Treccani definisce così la genialità – e lungi da noi contestarla – e spesso quando trasportiamo questo termine al calcio spesso risalgono alla mente le grandi gesta che ci hanno fatto innamorare dello sport calcistico. Oggi, per celebrare il natale di Luís Carlos Almeida da Cunha, meglio noto alle platee pallonare con il nome di Nani, abbiamo deciso di ricalcare uno dei suoi, seppure inconsapevole, colpi di genio. No, qui non vogliamo narrare del suo iconico doppio passo prima di un dei suoi classici dribbling, o dei tanti assist – che ad oggi ammontano a 140, mica male – o a un suo gol spettacolare. E cosa avrà mai potuto partorire la mente del funambolo lusitano allora? Beh, nell’estate del 2017, al suo arrivo alla Lazio fece scappare più di un sorriso ai molti cronisti accorsi per aver scelto il numero 7. Nulla di male in realtà, il suo amato 17 era già impegnato da Ciro Immobile, ma l’accostamento “7 Nani”, seppur non intenzionale, fu senza dubbio un colpo di genio.
Oggi, tra filastrocche, poliglottismi vari e curiosità del destino abbiamo deciso di passare in rassegna alcuni dei numeri di maglia più geniali di sempre. Vi sfidiamo a ricordarli tutti.
7 Nani, ma senza Biancaneve…

Ultimo giorno del mercato estivo, alla Lazio serve la ciliegina sulla torta per completare la campagna trasferimenti e dal cilindro sbuco il grande nome di profilo internazionale: Nani. Sì, l’asso portoghese che ha arato la fascia dell’Old Trafford, non certo uno stadio qualunque, ed è atteso a Roma per far fare il decisivo salto di qualità alla compagine biancoceleste. Al momento della sua presentazione qualcuno sorrise quando scorse il numero 7, spaesando l’esterno portoghese, che in conferenza ammise di aver preso quella maglia poiché la sua amata 17 era già impegnata. Magari qualche dirigente ha spinto il calciatore verso quella scelta, tuttavia la sua stagione laziale non fu esaltante, e a differenza di Biancaneve quella storia d’amore non vide né il principe né il lieto fine.
Zero eguali? No, Zerouali!

Hicham Zerouali magari alle grandi platee non dirà un granché, tuttavia il centrocampista marocchino entrò nella storia del calcio non per le sue doti tecniche, anche perché in carriera ha vestito le maglie di FUS Rabat, Aberdeen e Al-Nassr, non propriamente il meglio del panorama mondiale. Tuttavia durante la militanza in Scozia ebbe un’idea davvero geniale: giocare col numero zero! Già, il calciatore marocchino giocò con l’assonanza tra il suo nome e la pronuncia dello “zero” in inglese, che per i meno avvezzi all’idioma britannico è “zero”, e il suo nome, partorendo il primo calciatore a vestire questo numero nel Vecchio Continente. L’idea rivoluzionaria non piacque alla federazione scozzese – strano, oltre la Manica sono solito accogliere con favore le novità – costringendolo alla riassegnazione del numero nella stagione seguente. Purtroppo Hicham ci ha lasciati in un incidente stradale nel 2004, ma noi non dimenticheremo mai la sua genialità.
44 Gatti in fila per sei

Fabio Gatti è il simbolo per antonomasia dei numeri di maglia che vanno a braccetto col proprio cognome, regalando una vera e propria perla nostalgica e di marketing, con le maglie del centrocampista perugino a ruba nel capoluogo umbro. La storia del suo leggendario 44, ovvio riferimento alla canzone de “Lo Zecchino d’oro”, è fatta del nonnismo dello spogliatoio dei Grifoni, che negò al giovanissimo prodotto del settore giovanile il suo desiderato numero 5. Il ragazzo provò anche ad opporsi all’inesorabile destino prima della sua seconda stagione al Perugia – la prima in pianta stabile in prima squadra – ma lo spogliatoio decise di intonare le strofe del Coro dell’Antoniano ogni qualvolta che il centrocampista metteva piede sul campo di allenamento. Tutto è bene quel che finisce bene.

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