Privacy Policy Il Re Leone senza erede: perché la corona di Gabriel Batistuta non avrà più un padrone

Il Re Leone senza erede: perché la corona di Gabriel Batistuta non avrà più un padrone

1 Febbraio 2022

Il destino spesso propone degli incroci niente male. Non è un caso probabilmente che il giorno della presentazione di Dusan Vlahovic alla Juventus coincida con il compleanno di quello che è il bomber della Fiorentina per eccellenza, quello di cui i più romantici (o più illusi) avrebbero voluto vedere raccolto il testimone dal ragazzo classe 2000 di Belgrado in maglia viola.

Una doverosa premessa: non si intende gettare la croce addosso al centravanti serbo, che fa i suoi interessi così come li fa la Fiorentina, che lo ha di fatto messo in vetrina una volta preso coscienza della possibilità di perderlo a zero. La vetrina impone un prezzo, e attrae degli acquirenti: un po’ a sorpresa – visti i proclami di basso profilo per il mercato invernale – i Bianconeri hanno messo sul piatto il prezzo chiesto dalla Viola, e l’affare è stato fatto. Affare per tutti, un po’ meno per i tifosi della Fiorentina, ma su questo torneremo tra poco.

Il Numero Nove: passato contro eternità

Viene ovviamente un po’ da sorridere facendo il raffronto con Gabriel, che a Firenze ci è rimasto nove stagioni, dal 1991, fortemente voluto da Mario Cecchi Gori, che lo ha ammirato dopo la vittoria della Coppa America da parte dell’Argentina. Nove stagioni, una in serie B, nelle quali Batistuta ha fortemente sancito, anno dopo anno, il suo fortissimo legame con la città e con il colore viola. Del resto è arrivato davvero da ragazzo, a ventuno anni (e dunque solo poco più adulto di Vlahovic), dopo campionati, neanche troppo trascendentali, nel suo Paese, tra Newell’s Old Boys, River Plate e Boca Juniors.

Qui la prima sostanziale differenza tra i due attaccanti. Vizio insito nel calcio moderno, e probabilmente in tutte le nostre attività, è quello della fretta. Il ragazzo serbo, viene da un paio d’anni certamente ad altissimo livello, il primo in un contesto decisamente scadente tecnicamente come la Fiorentina dello scorso anno, il secondo, questo, in una squadra che Italiano ha trasformato nell’animo e nel gioco. Basta questo per voler far subito il grande salto? Nessuno mette in dubbio le qualità tecniche di Vlahovic, tuttavia non è certamente così peregrino pensare che un’altra stagione da vivere in viola, con un contratto rinnovato e con la garanzia – ormai funziona così – di cessione ad un prezzo concordato, avrebbe potuto giovare alla crescita di questo ragazzo, che, al netto della sua spavalderia, è ancora un ventunenne. Ma questa volontà di andare non è colpa dell’attaccante, né dei suoi procuratori: è il calcio di oggi, quello del tutto e subito, quello del qui e ora, quello dei baci sulla maglia a favore di telecamera prima della firma su un altro contratto. Non è neanche necessario ricordare che Batistuta, nella sua evidente crescita tecnica avvenuta negli anni fiorentini, ha avuto più volte l’opportunità di andar via, a guadagnare di più e a vincere quello che avrebbe meritato: non l’ha fatto, scegliendo di restare in viola pur davanti a grandi occasioni di crescita professionale (che poi Gabriel mai sarebbe andato alla Juventus è talmente ovvio che scriverlo è quasi esercizio di stile).

Le bandiere, queste sconosciute (oggi)

Ecco la seconda differenza. Batistuta ha scelto Firenze e la Fiorentina, nella buona e nella cattiva sorte, negli anni bui e negli anni da ricordare, tutti consacrati a suon di gol e prestazioni memorabili, con le schermaglie estive con Vittorio Cecchi Gori appianate da rinnovi e adeguamenti (inevitabili, parliamo pur sempre di uno dei migliori centravanti mai visti nel nostro campionato) ben presto dimenticate dalle reti, tante. L’estate peggiore forse fu quella del 1997-98, quando Gabriel sembra davvero al passo d’addio, e invece rimane alla Viola, iniziando il suo campionato con la tripletta di Udine e con Malesani esultante in pantaloncini corti sotto la curva. Detto che neanche a Dusan – per amor di verità – è mai mancata la professionalità, perlomeno da quello che si è visto in campo, quello che sconcerta è l’attuale incapacità delle nostre squadre di forgiare nuove bandiere. Certo, più volte si è detto che le bandiere non esistono più, che il calcio è cambiato, che adesso è un’azienda: tutto vero e tutto giusto, e lo dimostrano i fatti.

Vlahovic, palesando attraverso i suoi agenti l’eventualità di un addio a zero nell’estate del 2023, è soltanto l’ennesimo esempio del nuovo ruolo del calciatore, incapace di legarsi ad un ambiente che lo ha fatto crescere e che lo ha coccolato e pronto ad imbarcarsi praticamente ai primi segnali di crescita verso squadre più prestigiose e più ricche. Verrebbe da dire che è un problema della Fiorentina (che non è nuova in questi anni a tali avvenimenti) ma poi si pensa a Donnarumma, a Kessié, a Belotti, alla firma di Insigne con il Toronto, a quello che accadrà a Mbappé, per cui sembra essere pronto un contratto a cinquanta milioni di euro a stagione con il Real Madrid, e quindi il fenomeno è ben più ampio e va ben oltre i confini del Granducato di Toscana.

Che il calcio sia cambiato lo dicono i fatti. Oggi è impensabile e impossibile per una squadra come la Fiorentina anche solo pensare di trattenere un giocatore che potrebbe diventare un futuro fuoriclasse, cosa che, guardando i numeri, Vlahovic effettivamente potrebbe diventare. È successo con Batistuta, che campione è diventato a Firenze, ma è successo proprio perché era un altro sport, c’erano altre dirigenze ed altri procuratori, e perché i giocatori sapevano identificarsi con la maglia e con la città di appartenenza. Batistuta è stato la Fiorentina, la Fiorentina è stata Batistuta, un legame che è andato oltre le (poche) vittorie e che ha plasmato il Franchi per nove stagioni, Gabriel che è arrivato ragazzo e se ne è andato (in lacrime) da uomo. Dusan arriva a Firenze a diciotto anni, nel 2018, quattro stagioni in prima squadra, tantissimi gol, e dice basta, scegliendo di andare alla Juventus. Solo alla Juventus.

I tifosi, le vere vittime del calcio moderno

Anche questo è un punto su cui riflettere, e che conferma chi in questo giochino delle parti ci rimette sempre. E sono quelli che fanno gli abbonamenti allo stadio, che pagano la pay-tv, che comprano le maglie con il nome dietro, spendendo tanti soldi per regalarsi un sogno. I tifosi, neanche a dirlo. Il calcio è un business, ce lo dicono ogni giorno, ed avranno anche ragione. Quello che non capiamo – e su cui invitiamo la Fiorentina a riflettere – è il motivo per cui tre ragazzi cresciuti in viola scelgano di andare solo e soltanto alla Juventus, affronto massimo per i tifosi della Fiorentina: probabilmente il motivo sta nell’incapacità del calcio moderno di creare bandiere e di far percepire l’importanza sia dei tifosi, sia dell’opportunità di essere Re, almeno per un paio di stagioni in più, invece di correre ad essere uno dei tanti da altre parti. Ma, è evidente, al netto dei proclami, dei pugni battuti sul petto e dei baci verso la curva, dei tifosi non si cura più nessuno. Ma, siamo certi, il tentativo di trasformarli in ragionieri e di vederli esultare per una plusvalenza (si spera reale), non potrà mai attecchire. E il motivo sta tutto in questa giornata, martedì 1° febbraio.

Oggi a Torino viene presentato Vlahovic, ma a Firenze sarà festa. Perché oggi è il compleanno di Gabriel Omar Batistuta, orgoglio massimo dei tifosi della Fiorentina, nove stagioni, 207 gol realizzati, l’ultimo in lacrime sotto la Curva Fiesole con la consapevolezza di dover salutare la sua gente, buono per scavalcare Uccellino Hamrin nella storia dei cannonieri della Viola, emblema di un calcio morto e sepolto del tutto dopo gli addii di Totti e De Rossi alla Roma. Il calcio delle bandiere, dei giocatori-simbolo, della capacità di legare e di legarsi, agli antipodi con l’industria odierna, senza “superstiti” o riferimenti a cui appigliarsi. E non è colpa del Vlahovic di turno. È un segno dei tempi che viviamo.

Ci vorrebbe un cambiamento radicale, di cui non vediamo neanche il minimo sentore o, peggio, volere. E a chi, come noi, spera in un futuro migliore, non resta che rifugiarsi nella Nostalgia, consci che non ci sono colpe da attribuire. Va così. Ma questo non vuol dire che non ci siano vittime. Chi ne esce peggio, sempre più malconcio, è l’amore dei tifosi, che resisterà per sempre davanti ai colori delle squadre che amano. Che fatica però abituarsi a non affezionarsi a questo o a quel giocatore, che fatica esultare col groppo in gola, che fatica rassegnarsi semplicemente all’inevitabile, fattori che, abbiamo visto sopra, valgono per tutti, ricchi e poveri: il calcio, quello di una volta, non c’è più. Non resta che farsene una ragione. Ma, chissà, potrebbe anche ritornare. Noi siamo qui, con voi, a sperare che questo prima o poi accada.  

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