Privacy Policy Calcio e guerra: i fili che si intrecciano all’ombra delle trincee in Ucraina

Calcio e guerra: i fili che si intrecciano all’ombra delle trincee in Ucraina

12 Aprile 2022

Una guerra che giornalmente viene raccontata, tra parole e immagini. Una guerra che, come tutte le guerre della storia, ha in sé mille fili che si intrecciano tra di loro. E che non riguardano soltanto la politica estera, le relazioni internazionali, i rapporti di forza, i corsi e i ricorsi storici. Ci piacerebbe essere ancora qui tra dieci anni per raccontare come è cambiato il mondo a partire dalle terribili vicende che ormai da un mese a questa parte popolano le nostre giornate e affollano i nostri incubi. Nell’attesa che tutto questo finisca, visto che qui parliamo di sport e prevalentemente di calcio, quello che andrete a leggere è un intreccio di storie, che si annodano tra di loro tra il passato e il presente.

Un Pallone d’Oro in trincea

Pezzo di Storia del calcio mondiale, Pallone d’Oro nel 1986 davanti a Lineker e Butragueno, trofei a raffica con Dinamo Kiev, una stagione con il Borussia Mönchengladbach, trentatrè gare e otto reti con la maglia dell’Unione Sovietica. Nato ad Odessa nel 1960, oggi nelle trincee con le truppe ucraine: è questa in estrema sintesi la storia di Igor Belanov, uno che è stato votato tra i più grandi giocatori sovietici di tutti i tempi, uno che insieme a gente come Blochin, Lobanovski e Vitalij Staruchin è tra le leggende del calcio ucraino, modello tra gli altri anche di Shevchenko. La storia di Belanov, che riprendiamo dal post di un media ucraino, è rappresentativa di come questa guerra abbia fatto irruzione negli ambienti non soltnnto militari, ma anche quelli civili. Ad un passo dal trasferimento in Italia, nel 1994 è lui stesso ad ammettere che non abbiamo potuto avere la fortuna di ammirarlo nel nostro campionato per via dell’allora ingombrante governo russo. Ad Odessa c’è una scuola calcio con il suo nome. La speranza è quella che, al termine del conflitto, sia ancora là, piena ancora di ragazzi pronti anche soltanto a sognare un futuro nel calcio, radioso come quello di Belanov, soprannominato, ironia dell’attuale sorte, Razzo, per via della sua grande velocità.

La gloria con la Samp, adesso in guerra al fianco del figlio

“Non avremmo mai potuto lasciare adesso l’Ucraina, non lo avremmo mai fatto”. Si è arruolato insieme al figlio, per difendere il suo Paese dall’invasione russa. Lui, che quel Paese l’ha lasciato quando era ancora Unione Sovietica nel 1990, con la Sampdoria che lo acquista dalla Dinamo Kiev, dove è nato. Oleksij Mychajlyčenko è in quella storia squadra che nel 1990-91 vince lo scudetto con Boskov in panchina, ma non convince mai del tutto, nonostante le grandi aspettative con cui è arrivato nel nostro campionato. Dopo Genova la sua carriera si è spostata in Scozia, dove ha vinto praticamente ogni cosa con la maglia dei Rangers Glasgow. C’è una battuta riportata dal maestro Gianni Mura in un suo articolo, che la dice lunga sullo spessore del personaggio. Europei del 1988, l’Unione Sovietica è protagonista. Scrive Mura: “Io guadagno settecento rubli al mese. Il giornalista italiano fa al volo il conto al cambio ufficiale, un milione e quattro. Una miseria, dice. E Mikhailichenko: Il doppio di un chirurgo. Volete che mi lamenti? E poi quando gioco l’ultimo mio pensiero sono i soldi”. Adesso è da qualche parte intorno a Kiev, con una mimetica militare e una città da difendere.

Le lacrime di Yarmolenko

Le schermaglie social tra calciatori russi ed ucraini, l’esclusione della Russia dai Mondiali, sono soltanto la parte burocratica del tornado che ha coinvolto inevitabilmente anche il mondo del calcio. Ci sono le lacrime, ovviamente. E sarebbe strano il contrario, perché troppo spessi siamo abituati ad immaginare i calciatori come robot, superficiali e senza sentimenti. Yarmolenko era una bella speranza del calcio ucraino, si è un po’ perso in questi anni. Rientra in campo con la maglia del West Ham per la prima volta dallo scoppio della guerra, segna la rete decisiva contro l’Aston Villa e piange, le mani rivolte al cielo in una preghiera silenziosa ma non per questo meno potente.

Due calciatori, una bandiera

Le storie che si intrecciano, dicevamo poco sopra. E si intrecciano in maniera ancora più significativa quando queste storie condividono lo stesso spazio, quello di uno spogliatoio. Quello di Zingonia, dove nell’Atalanta giocano due ragazzi. Di questo parliamo, due ragazzi, più o meno della stessa età di chi sta morendo ai confini d’Europa. Ruslan ed Aleksey, Miranchuk e Malinovskyi. Ucraina e Russia, Russia e Ucraina. Due ragazzi che uno striscione dipinge con i colori dei loro Paesi, mentre si stringono la mano. La pace, spesso, si fa in questo modo.

Il Tour della Pace

La Donbass Arena è stata abbandonata a data da destinarsi. Quella che una volta era la casa dello Shakhtar Donetsk del nostro Roberto De Zerbi adesso è vuota e vive di ricordi delle grandi imprese sportive dei suoi eroi. I giocatori del team ucraino hanno giocato sabato 9 aprile, per la prima volta dallo scoppio della guerra. Lo hanno fatto ad Atene, contro l’Olimpiacos Pireo, bandiera dell’Ucraina sulle spalle e sulle maglie non i loro nomi, ma quelli delle città simbolo della resistenza alla Russia. Sugli spalti, in mezzo al pubblico, 176 posti occupati da giocattoli. Uno per ogni bimbo morto in questo assurdo mese e mezzo di guerra.

La morte e la vita

Ventuno e venticinque anni. Calciatori, di belle speranze. Chissà se sognavano Belanov o Shevchenko, se avrebbero voluto giocare per la Dinamo Kiev o per lo Shakhtar, se tifavano per qualche squadra. Chissà se erano riusciti a toccare di nuovo un pallone, prima di cadere sul campo di battaglia. Vite interrotte quelle dei due giovani calciatori, come quelle di tanti ragazzi e ragazze, soldati e soldatesse, che hanno deciso di difendere il loro Paese: le storie di Vitalii Sapylo e Dmytro Martynenko, calciatori del Karpaty e dell’Hostomel, morti in guerra, sono un il lato oscuro di una vicenda che sta cambiando storie e vite. Dall’altro c’è la Vita, quella che dei fiori che nascono anche dalla merda di questi giorni. La Vita della storia di Misha, scappato da Kiev, ad Otranto dallo zio (come racconta il Quotidiano di Puglia) e subito su un campo di calcio, tesserato per una squadra locale con i Giovanissimi Regionali. Ecco, il nostro augurio è esattamente questo, e lo diciamo con le parole di Zeman. “La grande popolarità che ha il calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza, in ogni angolo del mondo, c’è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi”. Quando rivedremo rotolare i palloni nelle piazze di Kiev, Mariupol, Irpin, Donetsk, Mosca, San Pietroburgo, Gaza, e in tutte i posti dove tuonano i cannoni, allora il mondo sarà un posto migliore dove vivere. Con i nostri occhi abbiamo visto in un campo profughi palestinese bambini con ben poco di cui vivere, ma con un pallone e le maglie di Real Madrid e Barcellona sulle spalle. Sono bambini, lasciateli giocare. E sognare, una cosa che viene meglio correndo dietro ad un pallone.

di Yari Riccardi

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