Privacy Policy Champions League 2003-2004: l'indimenticabile cavalcata del Monaco

L’indimenticabile Monaco 2003/2004

20 Aprile 2020

L’edizione della UEFA Champions League 2003-04, caratterizzata da continui colpi di scena, fu una delle più sorprendenti degli ultimi vent’anni. Basti pensare che alle semifinali mancavano all’appello il Milan campione uscente, la Juventus finalista nell’edizione precedente, il Manchester United di Cristiano Ronaldo e Van Nistelrooy, il Barça – che non si era neanche qualificato per la fase a gironi – e il Real Madrid dei Galacticos.

Si presentarono, tra le sorprese generali, il Porto, il Deportivo La Coruña, il Chelsea, e una squadra francese: il Monaco di Didier Deschamps. Di quattro squadre, solo una, quella portoghese, vantava già un successo nella competizione. Si trattava, quindi, di un tabellone tanto inaspettato quanto appassionante, che rese quelle settimane primaverili del 2004 un susseguirsi di suspense e coup de théâtre che esaltarono gli amanti del gioco del pallone.

Il Monaco, quell’anno, fu protagonista di un percorso esaltante e mise sotto i riflettori una serie di giocatori di cui, di lì a poco, ci saremmo affezionati tutti. Gli straordinari risultati della squadra diretta dall’ex capitano dei Bleus furono il frutto di un restauro iniziato nel 2001 con il club con le casse vuote e una piazza desiderosa di ambire ai piani alti della classifica di Ligue 1. Con l’avvento in panchina dell’ex giocatore della Juventus, uno che ha sempre dimostrato di avere la vittoria nel sangue, i monegaschi iniziarono un ciclo volto a formare giovani promesse accanto a giocatori di esperienza.

Uno tra questi era il nostro Flavio Roma, portiere italiano proveniente dal Piacenza. In difesa, Gael Givet, Sébastien Squillaci e Julien Rodriguez si dimostrarono in grado di tenere le redini della difesa anche in partite in cui la posta in palio era molto elevata e gli avversari da contenere tra i più forti in circolazione, nonostante la loro giovane età. Il loro delicato compito era quello di equilibrare un sistema molto offensivo, a partire dai due terzini, Hugo Ibarra e un certo Patrice Evra che, solo i più fini e “veterani” intenditori ricorderanno con la maglia del Marsala in Serie C e quella del Monza in Serie B. A centrocampo, Edouard Cissé o il greco Akis Zikos si giocavano il posto da sentinella davanti alla difesa, un vero e proprio punto cardine del calcio espresso da Deschamps, in cui ogni pedina apporta un contributo preciso e fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio della squadra. Jaroslav Plašil e Jerôme Rothen, invece, avevano il compito di smistare i palloni al magnifico tridente d’attacco composto dal croato con la coda, Dado Pršo, il folletto francese, Ludovic Giuly, e Fernando Morientes, sbarcato a Monaco in cerca di riscatto, in prestito dal Real Madrid.

Il Monaco della Champions League 2003-2004

Nella fase a gironi, i biancorossi vinsero il Girone C con Deportivo, AEK Atene e PSV Eindhoven. Agli ottavi, ebbero la meglio sulla Lokomotiv Mosca che, quell’anno, privò clamorosamente l’Inter del secondo posto (e quindi della qualificazione) nel Girone B. In occasione dei quarti di finale, il Monaco si trovò di fronte il Real Madrid di Zidane, Ronaldo, Beckham e compagnia bella. Al momento del sorteggio, chi avrebbe potuto pronosticare l’eliminazione dei Blancos? Nessuno. Previsione che venne alimentata dopo il fischio finale della partita di andata del Santiago Bernabeu (vinta dalle Merengues per 4-2), e soprattutto dopo il gol dello 0-1 di Raùl Gonzalez Blanco, al 36’ della partita di ritorno al Louis II: una rete che sembrò spegnere tutte le residue speranze francesi. Quel che nessuno si aspettava sarebbe stato il clamoroso capovolgimento di fronte della ripresa: al fischio finale, infatti, sul maxi-schermo era ben leggibile il 3-1 per il Monaco, che grazie ad una doppietta di Ludovic Giuly e al gol dell’ex del Moro Morientes, si era guadagnato l’accesso alle semifinali, sei anni dopo l’ultima volta.

Come ultimo scoglio prima della ambitissima finale di Gelsenkirchen, c’era il Chelsea di Claudio Ranieri. Una squadra forte e solida che in Premier League si trovava seconda solo all’Arsenal degli Invincibili. Ancora una volta, i favori del pronostico erano tutt’altro che dalla parte dei monegaschi. Gli inglesi, oltretutto, erano spinti dall’entusiasmo dell’arrivo del magnate russo Roman Abramovich, che solo qualche mese prima debuttò nel suo primo mercato estivo sborsando 165 milioni di euro per portare allo Stamford Bridge Makelélé, Crespo, Mutu, Veron, Damien Duff e un’eccitazione difficile da contenere. Tuttavia, attorno a quell’edizione di Champions gravava un alone di magia che ne riempì la trama di imprevisti e peripezie a tratti epiche. Spinti dall’esperienza del coach Deschamps, i ragazzi del Principato s’imposero, ormai non più a sorpresa, per 3-1 nella gara di andata tenutasi al Louis II, grazie alle reti di Pršo, Morientes e Shabani Nonda – meteora giallorossa – mentre il gol di Hernán Crespo tenne vive le speranze degli inglesi. Fa quasi impressione pensare che, proprio oggi, siano passati sedici anni precisi dall’impresa dei ragazzi di Didier.

Mercoledì 5 maggio 2004, a Londra, per il decisivo match di ritorno, i 43.000 dello Stamford Bridge erano più caldi che mai, consapevoli di potersi giocare un traguardo mai raggiunto, nella loro storia. Deschamps, per difendere il risultato dell’andata modificò il suo 4-3-3, proponendo un più solido 4-4-2, con il terzino difensivo, Ibarra, schierato nei quattro di centrocampo, al fine di avere una fascia destra capace di contenere le offensive del pericoloso Joe Cole. Il tecnico francese decise di difendersi così all’assalto dei blues. Nei primi quindici minuti dell’incontro, come da aspettativa, gli uomini di Ranieri crearono subito tre grosse occasioni da gol, con Geremi, Joe Cole e Jimmy-Floyd Hasselbaink, tutte respinte da un pronto Flavio Roma. Quello che era nell’aria si verificò qualche minuto dopo, quando il portiere italiano si fece trovare sorpreso sul pericoloso traversone di Jesper Grønkjær che finì in fondo al sacco, esaltando un pubblico di casa che, di minuto in minuto, si faceva sempre più trascinatore, consapevole che mancasse un solo gol per accedere ad una storica finale di Champions League. Chelsea 1-0 Monaco.

I giocatori biancorossi erano sotto assedio: Eidur Gudjohnsen sfiorò il raddoppio con un colpo di testa ravvicinato che si infranse sulla traversa; Frank Lampard, pochi minuti dopo, provò una demi-volée all’interno dell’area di rigore che impegnò Roma in un salvataggio incredibile. Il Monaco, dal canto suo, sprecava malamente le uniche due azioni da gol che era riuscito a costruire con fatica, entrambe con Morientes che, se nella prima azione fu dimenticato dalla fortuna (il suo tiro ravvicinato si stampò sul palo), nella seconda si mangiò una clamorosa azione da gol, a tu per tu con un altro italiano, Carlo Cudicini. Un’occasione che, al 90% delle volte, uno come lui non sbaglia. Sembrava già scritto l’esito della gara, con l’inerzia completamente a favore degli inglesi, e perché il calcio difficilmente perdona certi errori.

E infatti, tre minuti dopo, arrivò il secondo gol dei blues, grazie alla solita incursione di Lampard che trafisse Roma e fece gonfiare la rete: 2-0. La rimonta era già completata: il Chelsea era provvisoriamente in finale. Solo un inaspettato colpo di scena, attributo particolare di quell’incredibile Champions League, ne avrebbe potuto ribaltare un’altra volta la sceneggiatura.

Fu così che dalla prima falcata sulla fascia di Jerôme Rothen – fino ad allora invisibile – partì un cross dalla linea di fondo; Morientes spizzò di testa, creando una traiettoria insidiosa, lenta ma difficilmente calcolabile che si infranse di nuovo sul palo. Quella volta, però, pronto a ribattere nel posto giusto al momento giusto, c’era Hugo Ibarra: la palla, dopo la respinta del legno, batté sulla coscia dell’argentino e finì in rete. Quel gol, a qualche secondo dallo scadere di un primo tempo dominato dalla squadra di Ranieri, cambiò completamente le dinamiche di quella partita.

I Blues subirono il colpo, il Monaco riprese vigore e, dopo aver lasciato nuovamente sfogare un Chelsea ancora pungente ma decisamente meno brillante nei primi quindici minuti del secondo tempo, affondò il colpo finale con Fernando Morientes, all’ora di gioco. Dopo un uno-due terrificante con Lucas Bernardi, il Moro si trovò di fronte a Cudicini, e se un clamoroso errore è concesso a tutti, la seconda grossa opportunità, uno come Morientes, non se la sarebbe mai fatta scappare: la palla finì in rete e l’attaccante spagnolo volò sotto il settore ospiti riservato ai suoi tifosi in delirio. Fu il gol che spezzò definitivamente il morale ai giocatori di Ranieri. Il Chelsea smise di giocare, e la partita finì 2-2: il Monaco approdò in finale di Champions League, un traguardo storico per la squadra del Principato.

Nella finalissima di Gelsenkirchen contro il Porto non ci fu storia: i lusitani s’imposero su un netto risultato di 3-0. Il mondo del calcio conobbe un certo José Mourinho, la cui futura carriera darà modo di spiegare il motivo di tanti successi, ma quel Monaco di Rothen, Pršo e Giuly resterà nel cuore di ogni appassionato di calcio.

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