Azeglio Vicini, il commissario tecnico dei giovani
20 Marzo 2021
Dieci anni di Under 21, poi la panchina dei “grandi” dopo il Mondiale del 1986: rinnovamento la parola d’ordine, esperimenti riusciti e quel dannato terzo posto
«È curioso a vedere, che gli uomini di molto merito hanno sempre le maniere semplici, e che sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco merito». Queste parole di Giacomo Leopardi sembrano scritte apposta per raccontare la storia di un uomo appartenente ad un altro calcio, che in molti hanno semplicemente ridotto ad uno sfortunato mondiale, che aveva tutto per essere vinto e che per circostanze nefaste e sfortuna è sfuggito di mano alla nostra nazionale. È stato sì l’allenatore delle Notti Magiche di Italia ’90 il buon Azeglio Vicini. Ma è stato molto di più di quel terzo posto. È stato il protagonista e il fautore di un necessario rinnovamento dopo la gioiosa sbornia sportiva di Spagna 1982 e l’inevitabile disfatta dei Mondiali messicani.
La nazionale dei grandi arriva a fine corsa: cambiamento inevitabile

Un profondo conoscitore dei giovani e del loro modo di essere. Questo è l’Azeglio che nel 1986 sostituisce Enzo Bearzot. Vicini è reduce da un decennio sulla panchina della Nazionale Under 21, arricchito dal terzo posto negli Europei di categoria del 1984 e l’argento del 1986. Dieci anni, un tempo ragionevole per pensare e plasmare il necessario ringiovanimento della nazionale dei grandi, alle prese con giocatori che ormai hanno veramente dato tutto. Del resto il contesto ha reso inevitabile un cambiamento, certamente “drammatico” visto che parliamo pur sempre di un ciclo che ha portato alla vittoria di una Coppa del Mondo. Solo che dai mondiali del 1982 a quelli del 1986 sembra essere cambiato tutto. Resta il gruppo, ma la sensazione della fine corsa è lampante. C’è ben poco da ricordare della rassegna centroamericana che la nostra nazionale ha giocato da campione in carica.

È di fatto la fine del ciclo di Bearzot: il torneo inizia subito in salita per gli azzurri con l’inatteso pari contro la Bulgaria (vantaggio di Altobelli) e l’altro contro l’Argentina di Maradona (è Diego a pareggiare la rete di Spillo). Serve la vittoria all’ultimo turno e arriva contro la Corea del Sud (doppio Altobelli e autogol). Il cammino dell’Italia si ferma agli ottavi: il 17 giugno 1986 a Città del Messico gli azzurri incontrano la Francia, reduce dal trionfale europeo casalingo del 1984. Troppo più forti i galletti per la nostra nazionale ormai a fine corsa: Platini e Stopyra bloccano senza troppa fatica le velleità dei nostri azzurri, vincono e gli azzurri salutano il Messico. Bearzot si dimette sancendo di fatto la fine di un ciclo brillante e indimenticabile. È il momento di Vicini.
Parola d’ordine: rinnovamento
Il più grande merito di Azeglio è stato quello di aver saputo mettere un punto e ripartire da capo, con nuovi nomi e nuovi interpreti. Un girone di qualificazione chiuso al primo posto e il pass staccato per gli Europei del 1988 mettono sotto i riflettori la nazionale di Vicini, la nuova generazione azzurra. Convocazioni ad alto tasso di gioventù, la promozione di tanti ragazzi dell’Under 21, la spensieratezza e la spregiudicatezza di chi non ha niente da perdere: questo il menu che Azeglio porta agli Europei tedeschi, punti di forza da contrapporre alla conseguente poca esperienza internazionale.

Un piatto stuzzicante, l’Italia di Azeglio Vicini, che porta alla rassegna continentale Zenga, Cravero e Ferrara, Ferri e Francini, Maldini e Ancelotti, De Agostini e De Napoli, Fusi e Giannini, Donadoni e Rizzitelli, Vialli e Mancini, oltre a personaggi del calibro di Baresi, Bergomi (rispettivamente di ventotto e venticinque anni) Ancelotti e Altobelli. Un’avventura che si preannuncia dunque particolarmente interessante, in una rassegna che vede ai nastri di partenza tante squadre attrezzate per la vittoria finale. Gli azzurri aprono il torneo nella gara inaugurale contro i panzer padroni di casa, apre Roberto Mancini, pareggia i conti pochi minuti dopo Andreas Brehme, poi Vialli abbatte la Spagna e Altobelli e De Agostini segnano le reti che permettono all’Italia di vincere contro la Danimarca e di passare il turno al secondo posto, ma a pari punti della Germania padrone di casa.

Nella semifinale gli azzurri sono sconfitti per 2-0 dall’URSS del sampdoriano Mykhailychenko, di Aleinikov, in Italia con Juve e Lecce, e dello juventino Zavarov. Sarà l’Europeo dell’indimenticabile gol di Marco Van Basten, che sigilla a modo suo la vittoria finale della sua Olanda. Uno stop in semifinale che brucia, ma fino a un certo punto: troppo forte quella Urss per i nostri ragazzi, ma le basi erano state gettate, Italia ’90 si avvicina a grandi passi e l’Italia dimostra in una grande torneo a avversari vicini e lontani di essere di nuovo pronta per le grandi competizioni internazionali.
Nessun passo indietro
Nessun ripensamento. Per l’altro grande appuntamento del suo ciclo, il mondiale casalingo del 1990, Vicini sceglie la via della continuità del lavoro intrapreso, con le convocazioni che seguono la scia del lavoro portato avanti dall’insediamento in poi, passando per l’esame – superato – dell’Europeo 1988 e contrassegnato da quel mix tra gioventù ed esperienza cardine della filosofia e della visione di gioco di Azeglio. Tre portieri, e non possono che essere Zenga, Tacconi e Pagliuca. In difesa Baresi, Bergomi, De Agostini, Ferrara, Ferri, Maldini, Vierchowod, a centrocampo Ancelotti, Berti, De Napoli, Giannini, Marocchi e Donadoni, e il nostro super reparto avanzato composto da Baggio, Carnevale, Mancini, Schillaci, Serena e Vialli.

È interessante analizzare le età. Il più anziano nella rosa dei convocati è Tacconi, trentatreenne secondo di Zenga. Dietro di lui lo Zar, poi i trentenni Zenga, Baresi e Ancelotti, De Agostini, Serena e Carnevale (all’epoca ventinove anni). Il resto è una banda di ragazzi che va dai ventisei anni di Bergomi, Ferri, Donadoni e De Napoli, passando per il poker di venticinquenni Giannini, Mancini, Vialli e Schillaci e chiudendo con il ventitré anni di Roberto Baggio e Paolo Maldini, ventidue anni compiuti al Mondiale il 26 giugno 1990. Il coraggio delle scelte: Salvatore Schillaci detto Totò prima del Mondiale ha al suo attivo soltanto una presenza, la gara con l’Austria è la seconda, e chiuderà la sua esperienza azzurra con sedici presenze e sette gol. Di questi, sei li mette a segno nelle partite di quella memorabile estate. Tutti quei giovanotti ripagano la fiducia del loro allenatore, segnano e fanno segnare, si consacrano stelle come Roberto Baggio e Paolo Maldini ed entrano nei cuori personaggi come Schillaci, meteore scintillanti di una sola estate, eppure indelebili nei cuori e nei ricordi di ognuno noi. In tutta la rassegna l’unico gol di un “over” è quello di Serena nel 2-0 contro l’Uruguay. Nonostante tutto questo, quella nazionale finisce al terzo posto, nel modo che tutti conosciamo.
Finisce il ciclo di Azeglio, amato e sottovalutato

Un risultato che non soddisfa i vertici della Federazione. Vicini è nel mirino dell’opinione pubblica ma resta sulla panchina azzurra, è già tempo delle qualificazioni agli Europei del 1992. Nella cruciale gara di Mosca contro l’Urss gli azzurri sono obbligati a vincere per qualificarsi alla manifestazione continentale dell’anno successivo: finisce 0-0, Rizzitelli colpisce un clamoroso palo. Palo che ancora trema. Cosa sarebbe cambiato se quella palla si fosse trasformata in gol? Vicini sarebbe rimasto sulla panchina? È il 12 ottobre del 1991, ed è in quella data che Azeglio Vicini, il commissario tecnico di Italia ’90, tra i più amati della storia del nostro calcio, si siede per l’ultima volta sulla panchina azzurra. Amato e sottovalutato, in un calcio che vive soltanto di risultati. Azeglio ha l’indubbio merito di aver ricostruito una squadra praticamente da capo, inserendo giovani in massa come forse recentemente soltanto Mancini sta tentando di fare. Dal blocco dei campioni del mondo a quello di un manipolo di ragazzi bravi – qualcuno molto più che bravo – che sono cresciuti e hanno fatto crescere una squadra piena di tecnica e di cuore, ad un passo dalla gloria più per sfortuna che per demeriti propri. Una squadra moderna e ben messa in campo, seppur italianissima per gioco e filosofia, piena di tecnica e rude quando necessario. Un peccato che tutto questo sia ricordato soltanto per quel maledetto terzo posto di Italia ’90 e per quel palo di Mosca. Perché il signor Azeglio Vicini, nato a Cesena il 20 marzo del 1933, è stato il commissario tecnico della ricostruzione e della ripartenza. Impossibile ridurre tutto questo a quel dannato mondiale italiano, dove soltanto la sfortuna ha fermato gli azzurri nel cammino verso la finale. Se oggi parliamo di tanti giocatori che hanno fatto la storia del nostro calcio, il merito è di chi ha avuto il coraggio di chiamarli in Nazionale e di farli giocare. E dunque di questo commissario tecnico, tanto amato quanto poco mediatico.
Yari Riccardi

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