Dejan “Il Genio” e l’assist più bello di sempre (VIDEO)
15 Settembre 2021
Il calcio è uno sport strano, dove il gioco si sviluppa attraverso una trama di movimenti all’unisono per portare un risultato. Tuttavia, ad appassionare milioni di persone in giro per il mondo, è l’esatto momento di rottura di questa ragnatela di ingegni, quando l’estro dei singoli rompe i dettami degli schemi per segnare un gol.
Troppo spesso ad essere esaltate sono soltanto le reti, quelle marcature straordinarie che ci hanno letteralmente fatto saltare dalla sedia, ma oggi noi vogliamo celebrare l’altro lato della medaglia: l’assist.
Nel lungo percorso che ha portato ognuno di noi ad amare questo gioco ci siamo imbattuti in diverse giocate fuori da ogni logica senziente, e ci siamo chiesti: qual è il miglior assist degli anni ’90? La nostra personalissima risposta ci catapulta al 24 marzo del 1996, quando Dejan Savicevic servì a Roberto Baggio un comodissimo appoggio dentro l’area piccola dopo un dribbling fuori dal comune, degno della nomea di Genio che ha da sempre accompagnato il fantasista montenegrino.
Un passaggio che nasce da lontano, sia nel tempo che nello spazio, che trova le radici a Titograd – l’odierna Podgorica, capitale del Montenegro – il 15 settembre 1966, quando Vladimir e Voika Savicevic mettono al mondo il loro secondogenito: Dejan.
Dejo è un ragazzo complesso: non ama studiare e fa impazzire il padre a lavoro. Vladimir è un capostazione e ogni volta deve rincorrere il figlio che rincorre i treni e salta da un binario all’altro. Il ragazzo è vivace, si getta nelle baruffe e il suo primo amore è il karate. Si sa, la genialità percorre a volte strade tortuose, ma a tredici anni il Dio del Calcio muove la provvidenza e convince Dejan a destreggiarsi col pallone coi piedi e in tre anni esordisce nel campionato jugoslavo nelle file del Buducnost.

Poco più che maggiorenne Savicevic esordisce, con gol, in nazionale e il passaggio alla Stella Rossa di Belgrado – la più grande squadra dell’Est Europa in quegli anni – è un passo d’obbligo, avvenuto nell’estate del 1988. Con la Crvena Zvezda s’impose subito e sin dagli albori della sua carriera l’Italia cominciò a incrociare il suo destino: è il 9 novembre del 1988, a Belgrado si gioca il ritorno degli ottavi di finale di Coppa Campioni tra la Stella Rossa e il Milan e Savicevic fa letteralmente saltare in aria il sistema sacchiano, totalmente in balia del Genio, che marca il gol del vantaggio. Ma il destino, si sa, opera per via misteriose e una bassa pressione unita all’alta umidità del Danubio creano una nebbia fittissima sul campo di gioco, costringendo l’arbitro a sospendere la sfida. Il regolamento dell’epoca impone la ripetizione dal primo minuto della gara sul punteggio di 0-0, e il Diavolo la spunterà ai calci di rigore.
Il fato porterà Dejan a conoscere uno degli uomini che sarà con lui nella gara migliore della sua vita, quella ad Atene del 18 maggio 1994, nella partita mai disputata più famosa della storia: il 13 maggio del 1990 la Stella Rossa di Belgrado, squadra della capitale jugoslava, e Dinamo Zagabria, roccaforte dei moti indipendentisti croati, non scesero in campo per i violenti scontri tra tifosi di chiarissima matrice politica.
Il destino di Savicevic, con la maglia biancorossa, si compirà proprio in Italia, quando allo stadio San Nicola di Bari vincerà la Coppa dei Campioni del 1991 ai danni dell’Olympique Marsiglia, squadra che aveva posto fine all’epopea europea del Milan nella celebre gara delle luci spente.
Il 1992 è l’anno in cui è pronto a lasciare la terra natia per il grande calcio, pronto ad approdare nella nostra Serie A, alla corte della Juventus. Sì, proprio come per il primo amore sportivo, anche nella prima trattativa italiana non era tutto chiaro, ma il destino anche qui mise lo zampino: a Milanello il rapporto tra Ruud Gullit e Fabio Capello comincia a scricchiolare, e Silvio Berlusconi apre la voliera e libera il Condor. Adriano Galliani con una trattativa lampo, e un assegno da dieci miliardi di lire, porta Savicevic alla corte del Diavolo.
La prima stagione del montenegrino in Italia è ostacolata dalla legge federale dell’epoca che vietava l’utilizzo di più di tre stranieri contemporaneamente nella stessa gara. Lo Scudetto arriva al primo colpo, ma in finale di Coppa Campioni il Milan è battuto a sorpresa dal Marsiglia, facendo scoppiare definitivamente il rapporto tra Gullit e Capello, con il Tulipano Nero che chiese, ed ottenne, la cessione consegnando di fatto la maglia numero 10 sulle spalle di Savicevic.
Il 1994 è un anno particolare, con nessuna rete in campionato in venti gare, ma con il gol che ha sancito definitivamente il suo genio nell’ultima apparizione stagionale: ad Atene il 18 maggio Milan e Barcellona si sfidano in una finale di Champions League che i catalani reputano già vinta. Savicevic gioca la gara della vita, siglando la rete del 3-0 con un clamoroso pallonetto da 40 metri che sorprese Zubizarreta. Al termine della gara il montenegrino mostrò anche una spiccata dose di ironia, con una frase tanto semplice quanto tagliente: «Le foto con la coppa vanno fatte dopo la partita». Il destinatario? Johan Cruijff, allenatore dei Blaugrana, che si fece ritrarre con la Coppa dalle Grandi Orecchie il giorno prima della gara.

Il Milan arriverà una terza volta in finale di Champions League, ma l’Ajax la spunterà grazie alla sua freschezza che mise tutti i tifosi rossoneri di fronte a una triste realtà: lo zoccolo duro del dominio milanista in Europa è prossimo alla scadenza. La dirigenza tuttavia porterà in quell’estate alla corte di Capello due campioni come George Weah e Roberto Baggio. Il Divin Codino, nel primo anno della numerazione fissa, lascia la numero 10 proprio a Dejan.
Il Diavolo, in quella stagione vincerà l’ultimo tricolore del suo ciclo trionfale, prima di anni transitori, e in questa stagione Savicevic confezionerà l’assist più incredibile della storia recente della nostra Serie A.
È il 24 marzo 1996, e malgrado l’ottimo cammino in campionato c’è grande contestazione da parte dei tifosi nei confronti di dirigenza e squadra, con tanto di lancio di uova sul pullman dei calciatori all’arrivo allo stadio. Il motivo è che sul campo il Diavolo ha perso il derby ed è uscito malamente dalla Coppa UEFA, facendosi rimontare le due reti della gara d’andata dal Bordeaux, oltre che dal clima sottolineato da uno striscione molto eloquente dei tifosi: «Non è la sconfitta che ci irrita, ma l’aria che tira». Già, tutti hanno capito che il Grande Milan era sul viale del tramonto.
La gara è complessa, con Baggio che sbaglia anche un calcio di rigore, e per fermare la contestazione ci vuole un acuto del Genio: minuto 43, Savicevic riceve palla sul vertice alto sinistro dell’area e resiste a una prima carica di Apolloni, poi decide di eludere Couto con una rapidissima finta facendo passare la sfera prima sul piede sinistro e poi nuovamente sul destro per poi saltare il redivivo Apolloni con una geniale finta di corpo lasciando scorre la palla sua sinistra e correndo nella direzione opposta, lasciando immobile il difensore al centro prima di servire con una precisa rasoiata il Divin Codino, che siam certi, ha segnato reti sicuramente più complesse.

La gara scivolerà via con un 3-0, che vedrà il Genio siglare l’ultima rete. A fine stagione sarà scudetto, ma gli ultimi due anni di Savicevic coincideranno con due pessime annate milaniste, ma per l’esigente pubblico rossonero sono rimaste negli occhi, e soprattutto nel cuore, queste giocate che hanno portato quello scontroso bambino di Titograd a essere esaltato come uno dei migliori 10 della storia del Diavolo.
di Daniele Riefolo

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