Il giorno in cui l’Europa conobbe il Fenomeno
12 Ottobre 2020
Se sei nato negli anni ‘80 e nella tua vita magari hai rinunciato persino ad uscire con qualche ragazza per non perderti la tradizionale partita di calcetto con gli amici, allora c’è un giorno che nel tuo calendario dovrebbe essere segnato in rosso. Una festività, pagana ma non troppo, una seconda epifania, quella del 12 ottobre. Per onorare quanto accaduto in quel giorno del 1996 a Santiago de Compostela. Si, proprio la città del pellegrinaggio, che da quella fatidica data è divenuta sacra anche per chi crede nella Dea Eupalla.
Dal greco antico epiphànein, verbo composto da epi “dall’alto” e phanein “apparire, manifestarsi”: in un sabato di ventiquattro anni fa, alll’ Estadio Municipal Vero Boquete de San Lázaro Ronaldo si manifesta al mondo in tutta la sua sovrumanità rinnovando il senso del termine “epifania”.

Il ventenne brasiliano era approdato in Catalogna dalla fredda Eindhoven, dove aveva già messo a soqquadro le difese olandesi. Ma la poca predilezione del calcio oranje per la fase difensiva aveva in un certo senso tolto sacralità a statistiche già ben oltre la normalità della pedata. Eppure da quel 12 ottobre cambiò la percezione che la galassia del calcio aveva di lui. Divenne il Fenomeno, l’Extraterrestre. Appellativi diversi, ma tutti accomunati dal qualificare il calciatore Ronaldo Luis Nazario da Lima al di sopra dell’umano sentire. Una manciata di secondi, una serie di passi rapidi, potenti eppure governati da una suprema leggerezza che consente un controllo di palla semplicemente e divinamente perfetto. Un’alchimia calibrata di tecnica, forza e velocità che sui campi di calcio non si era mai vista prima di allora La cavalcata verso la porta del Compostela è un’impresa che il gol deve solo santificare.

Ronaldo svela la sua natura ultraterrena mentre i difensori del Compostela provano a fermarlo, cadendo impietosamente ai suoi piedi. Non possono nulla contro i suoi dribbling imbottiti di velocità supersonica e magnetismo, quello tra piede e pallone, mentre il confronto sul piano fisico è ancora più inumano. Poi il gol e un’esultanza che non è un’esultanza. Una corsa che all’improvviso si fa più naturale, leggera, quasi statica e le braccia larghe. Come il Cristo Redentore che domina Rio de Janeiro, città natale dell’attaccante. Coincidenze, troppe per considerarle solo tali, che elevano ciò che è pagano, consacrandolo. Sarà la Pirelli ad avere il coraggio di sostituire sulla vetta del Corcovado la figura del Salvatore con quella del numero nove in una foto che è ormai un santino più che uno spot. La potenza è nulla senza controllo.

La stessa potenza con cui le immagini di quel gol entrarono nelle nostre case, trasmesse e ritrasmesse dai notiziari, non solo sportivi. Fotogrammi che ci riportarono alla gioia primordiale del calcio di strada, privo di schemi ed arbitri, fischi e falli, pieno di finte imbottite di inganni, di egoistica voglia di fare gol e di un’istintiva volontà di rimanere in piedi anche con interventi taglia-gambe, perché le ginocchia portano ancora i segni dell’ultima caduta sull’asfalto. In appena dieci secondi di Ronaldo c’è tutto questo. Il Fenomeno parte dalla propria trequarti, ha ancora oltre cinquanta metri di campo dinanzi a sé, ma ha un solo pensiero nella testa, nei piedi e nelle gambe. Andare dritto in porta, sbaragliando chiunque gli si pari davanti.
E probabilmente questo lucente assolo verso la rete del Compostela non è nient’altro che la riproposizione di un’azione che avrà eseguito chissà quante volte per i vicoli di Bento Ribeiro. Ora ripete quei gesti con la stessa naturalezza di allora, con la differenza che adesso c’è l’emisfero dell’Europa calcistica che si ferma ad ammirarlo, ad analizzarlo, a comprenderne la natura. La rivelazione è improvvisa, autorevole, meravigliosamente disarmante… l’effetto è lo stesso che tu sia un adolescente seduto nella tua cameretta o che tu sia l’allenatore del Barcellona, al secolo Bobby Robson, uno che nel calcio ci è praticamente nato.
Per altri tre anni Ronaldo sarà questo, un inno vivente al calcio nella sua essenza più ingenua e autentica, un messia mandato sulla terra dagli dei del calcio. Gli stessi che il 21 novembre del 1999, mossi da un’irrefrenabile invidia, decidono di punirlo per essere diventato più grande di loro.
La grandezza di Ronaldo è stata raccontata da scrittori, giornalisti e calciatori, in particolare difensori tra i migliori del tempo e di ogni tempo che tremavano solo all’idea di dover marcare l’asso brasiliano. Le loro parole le abbiamo lette e rilette, sempre con instancabile e nostalgico piacere. Tra tutte, però, vogliamo ricordare quelle di un attaccante, un certo Zlatan Ibrahimovic, uno che dell’umiltà non ha certo fatto il suo cavallo di battaglia e che, appena ragazzo, nella sua camera di Rosengard, proprio come noi, aveva assistito all’epifania di quel 12 ottobre.

«Per me è stato un esempio di quello che è il calcio. Tutto quello che faceva era davvero straordinario: come dribblava, come correva, come segnava. Era un vero e proprio “Fenomeno”. Quello che ha fatto lui, penso che nessun altro sarà mai in grado di farlo, perché lui era naturale, non era “costruito”. Ronaldo non si è fatto, è nato per questo e si tratta di qualcosa per il quale non ti può allenare. Come Ronaldo non ci si diventa, ci si nasce. È davvero unico».
Andrea Tomassi

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