Privacy Policy La FLOP 11 della Juventus dal 1986 al 2006 - Pagina 2 di 3

La FLOP 11 della Juventus dal 1986 al 2006

5 Marzo 2021

ATHIRSON Mazzoli de Olivera

Athirson è l’esempio didascalico-enciclopedico di come può esser facile trasformare un clamoroso abbaglio in un affare di mercato. L’affare lo fanno quelli del Flamengo che, dopo un lungo tira e molla, son costretti a cedere il giovane difensore alla Juventus. Se il Maracanazo è stata la più grande tragedia sportiva brasiliana, forse il veder calciare un pallone ad Athirson si piazza al secondo posto. Eppure gli dei del pallone e i folletti dell’ironia ce la mettono tutta per creare un caso attorno al giovane difensore flamenghista. Il club di Rio non vuole mollare il calciatore, la Juventus si appella persino alla FIFA per ottenere il transfert provvisorio e nell’aprile del 2001 debutta contro il Brescia. Luciano Moggi si morde le mani e maledice il giorno in cui ha fatto il diavolo a quattro per mandare quel fax alla FIFA, ottenendo il permesso di tesserare Athirson come calciatore bianconero. Il karma gioca un brutto scherzo al direttore sportivo: Lippi non lo vede, neppure in allenamento, tant’è che viene messo in disparte dopo poche partite ed è costretto a tornarsene in patria. Un costoso flop ad honorem.

Juan Pablo SORIN

Ventitré minuti. Ventitré minuti che non hanno cambiato la storia del calcio, ma che ha avuto Juan Pablo per poter cambiare la propria esperienza con la maglia della Juventus. A tanto ammonta la durata del calpestamento dell’erba del Delle Alpi in occasione delle sfide contro Napoli e Padova. In mezzo, altre due convocazioni contro Cagliari e Lazio, quarantacinque minuti di Coppa Campioni contro il Borussia Dortmund e due spezzoni di Coppa Italia con avversarie Atalanta e Avellino. Il sogno bianconero del terzino sinistro argentino è racchiuso in queste scarne statistiche della stagione 1995-96, annata che ha visto la Juventus trionfare in Coppa Campioni contro l’Ajax. Nonostante le sporadiche occasioni in cui ha visto il campo, Sorin ha potuto aggiungere al palmares il più importante trofeo continentale europeo, bissando pochi mesi dopo questo traguardo in Sudamerica, vincendo nella stessa stagione l’equivalente sudamericano della Coppa Campioni europea con la maglia del River Plate. Omar Sivori, campione bianconero degli anni ’50 e ’60 ed ambasciatore del club in Argentina, consiglia alla dirigenza il promettente terzino dell’Argentinos Juniors. L’affare si fa e la Vecchia Signora versa 1,6 miliardi di lire nelle casse del club che lanciò Diego Armando Maradona. Sorin poteva vantare un curriculum di tutto rispetto: titolare della Seleccion Under 20 trionfatrice ai Mondiali di categoria nel 1995 e già nel giro dell’Albiceleste. Dopo quei ventitré minuti in Serie A, la carriera di Sorin è stata un peregrinare continuo, vestendo casacche blasonate come quelle del Cruzeiro, del River Plate, del Barcellona e del Paris Saint-Germain. Nel girovagare senza sosta, fa capolino anche la sua esperienza a Roma, sulla sponda biancoceleste del Tevere: sei partite per convincere la dirigenza a rispedirlo lontano da Formello. Alla Juventus, Sorin ha recitato il ruolo di promessa non pervenuta, la quale sarebbe caduta nel dimenticatoio se non fosse stato per la notevole attenzione mostrata dai media nei confronti del terzino argentino. Forse troppo eccentrico per il calcio italiano, troppo discontinuo per una carriera di alto livello, ma sufficientemente iconico per finire nelle leggende nostalgiche nel ruolo di capostipite di una serie di giovani “abbagli” atterrati all’aeroporto di Caselle dalla seconda metà degli anni ’90 in poi.

Sunday OLISEH

Sunday Mimmo Oliseh ha vissuto la nostra Serie A in due diverse occasioni. Nel 1994-95, dopo i Mondiali americani il mediano nigeriano approda alla Reggiana, realtà pur modesta per un calciatore già perno della propria Nazionale e capace di vincere la Coppa d’Africa nel 1994. Il mediano è un ventenne promettente e la Reggiana offre comunque grandi possibilità di mettersi in luce in un campionato impegnativo. L’obiettivo – almeno quello personale – viene centrato, tant’è che dopo una sola stagione in Emilia il centrocampista si trasferisce a Colonia, in Germania e poi in Olanda, all’Ajax. Con i Lancierivince un campionato e due coppe nazionali, nel mentre conquista l’Oro olimpico ad Atlanta 1996 con la Nazionale olimpica delle Super Eagles. Nel 1999, nel pieno della maturità agonistica è pronto per tornare nella nostra Serie A, più adulto, incisivo e soprattutto con una squadra nettamente più attrezzata dei granata emiliani. Oliseh, però, in bianconero delude le attese: non si integra pienamente nel nostro sistema bianconero, sarà la presenza di tanti campioni nello scacchiere juventino, saranno le poche presenze accumulate tra coppa e campionato, sarà l’annata storta, ma al termine della stagione il mediano viene messo su un diretto Torino-Dortmund e Mimmo è presto che dimenticato. La parentesi juventina è stata sicuramente un flop, ci si aspettava molto di più da Oliseh, arrivato per spaccare il mondo si è perso sul più bello cucendosi addosso solo la toppa della Coppa Intertoto del 1999.

Jonathan BACHINI

Chi è Bachini? Se dovessimo raccontare ad un ragazzo qualsiasi i personaggi di quel calcio lontano ormai trent’anni, faremmo fatica a trattenere qualche lacrima. In quel calcio pullulavano i personaggi come Jonathan, mestieranti dai piedi buoni, tanta corsa, testa bassa e pedalare. È stato il miglior laterale del biennio 1997-99 e giocava in quella macchina quasi perfetta che era l’Udinese di fine anni ’90. Con la maglia dei friulani, Bachini si era tolto parecchie soddisfazioni: dall’esordio in Nazionale al corteggiamento della Juventus. In quell’Udinese giocò una generazione di fenomeni mai del tutto sbocciata a livello internazionale: ottimi per il gioco spumeggiante di provincia, ma forse troppo acerbi per sopportare l’aria rarefatta delle vette del campionato. Bachini, purtroppo, non fece eccezione. Il treno impetuoso del Friuli non riuscì a riconfermarsi a Torino e dopo poche partite il Pendolino livornese imboccò un prematuro viale del tramonto che lo portò alla distruzione umana e sportiva. Nel nostro immaginario un Bachini era un Garrincha, un campione destinato al “tutto o niente”. La parentesi juventina indirizzò il destino verso il niente, fatto di cadute e risalite conquistate quando ormai il treno era passato. Un inferno dal quale non potersi più ribellare, un cognome da portare sulle spalle pesante come quella Coppa Intertoto vinta nel 1999 grazie alla Juventus. Perché si può essere un flop, si può aver fallito come calciatore, si può esser caduti negli inferi, ma l’importante è tornare alla vita. Quella con la V maiuscola.