L’uomo che avrebbe potuto stroncare gli ultimi anni di carriera di Roberto Baggio
22 Settembre 2021
Chissà se ci stava pensando, quel giorno di giugno. Chissà cosa stava passando per la testa di quel tipo che si è visto guardare negli occhi da Roberto Baggio al minuto 85 di Italia-Cile, gara del Mondiale di Francia ’98. Quel tipo è Nelson Tapia, portiere sudamericano vero e proprio totem dell’Universidad Catolica, estremo difensore dell’undici capitanato da Ivan Zamorano, la squadra di Marcelo Salas, che in quella gara segna due reti e porta in vantaggio la Roja. Fino al minuto 85. Il minuto che avrebbe potuto dare una nuova ferita a Roberto Baggio, che calcia con i fantasmi di quattro anni prima a sibilargli nella testa e nel cuore. Calcia contro Tapia, personaggio da romanzo dickensiano, guardiano di un destino stavolta dolce (che comunque non ha mai dato indietro al Codino quello che gli aveva tolto a Pasadena). Chissà cosa sarebbe successo se Roberto avesse sbagliato. Chissà se mentre calciava ha visto Taffarel al posto di Tapia, chissà se si è ritrovato nell’afa di Pasadena e non nel fresco pomeriggio estivo di Bourdeaux.
Nelson Tapia: parate e acconciature bizzarre
Non un personaggio qualunque per il calcio cileno quello che Baggio si è trovato davanti nel suo ultimo mondiale. Nato il 22 settembre del 1966, Nelson nasce e cresce tra le fila della squadra O’Higgins, il tutto prima del passaggio al Deportivo Temuco e della definitiva consacrazione tra i pali dell’Universidad Catolica. Qui vince il titolo nazionale, così come negli anni a seguire con il Cobreloa. Chiude la carriera all’Atletico Juniors di Barranquilla, in Colombia, dopo esser passato anche per i pali del Santos. Una carriera di club dignitosa, a cui fa da contraltare il ruolo centrale avuto nella nazionale cilena, con 73 presenze tra il 1994 e il 2005 e il ruolo da titolare sia nella corsa al bronzo delle Olimpiadi di Sydney 2000 sia nel buon Mondiale disputato dalla Roja in Francia. Il Cile olimpico del 2000, a rilegger la rosa, era una roba davvero forte: la curiosità è la presenza di Hector Tapia, meteora perugina dal 1999 al 2001, il cuore pulsante quello di David Pizarro, i gol quelli di Ivan Zamorano, la garra quella di Claudio Maldonado. Quel Cile ai quarti sommerge per 4-1 la Nigeria campione in carica, fermandosi solo al cospetto del Camerun di Eto’o e Mboma e ottenendo il bronzo battendo con due gol di Zamorano gli Stati Uniti. Un felicissimo bis dopo la positiva esperienza di Francia ’98. In tutto questo un paio di soprannomi che descrivono alla perfezione il tenore del personaggio. Il primo è Simpson, per via di alcune discutibili acconciature sfoggiate in alcune gare che ricordavano il Bart di Matt Groening, l’altro, ben più affascinante ed evocativo, è invece Cabeza de Muela.
Italia-Cile, fino al minuto 85
Il buon Tapia comincia male quell’Italia-Cile, proprio per colpa di Roberto Baggio, che prima mette a segno un assist “formidabile”, per ricordare l’espressione usata da Pizzul durante la telecronaca. È il debutto al Mondiale per entrambe: dopo dieci minuti Maldini lancia, Roberto – che la rassegna iridata se l’è guadagnata sul campo, dopo i ventidue gol con la maglia del Bologna – di prima intenzione fa una cosa pazzesca e serve Vieri che mette alle spalle del buon Nelson. Il Cile ribalta tutto tra il quarantacinquesimo e il cinquantesimo: azione d’angolo, sponda, Zamorano serve Salas che mette dentro ed esulta inchinandosi, come era solito fare. Il secondo è un incredibile colpo di testa su un cross dalla trequarti su cui nulla può Pagliuca. Sembra finita, ma il destino ha in serbo una nuova mano da far giocare a Roberto, nella quale inevitabilmente Tapia sarà protagonista. Suo malgrado, per fortuna.
Minuto 85, l’ora del destino
È stato lo stesso Baggio a dire che ancora oggi si porta nel cuore il rimpianto per il rigore di Pasadena. Ed è lo stesso Roberto a guadagnarsi quel penalty, calciando la palla sulla mano del difensore Fuentes. Non è un rigore cruciale come quello di USA ’94, ma riveste comunque una notevole importanza, visto che siamo alla prima partita del girone ed è davvero fondamentale cominciare bene. C’è solo Tapia, intorno una serie di fantasmi impossibili da scacciare. Chissà se Nelson somigliava a Taffarel, quel pomeriggio. Chissà cosa stava pensando Roberto. Chissà se Tapia si stava rendendo conto che una sua eventuale parata avrebbe aperto un ulteriore squarcio nel cuore e nella testa di uno dei più grandi giocatori mai esistiti. È il terzo Mondiale di Baggio, riparte esattamente da dove era finito il secondo. Cesare Maldini non guarda Roberto che calcia il rigore. La rincorsa è lunghissima, e Tapia sembra davvero gigantesco. “Tutti fuori”, dice Pizzul. Baggio calcia di destro e una serie di cuori rallenta quasi fino a fermarsi. Forte, di nuovo. Stavolta in porta, all’angolo sinistro. Stavolta è gol. Con un brivido immancabile. Perché Tapia, quella palla che per Roberto sta rappresentando non soltanto un calcio di rigore ma un vero e proprio anatema contro quei fantasmi che lo hanno assediato per quattro anni, la sfiora, sembra quasi toccarla, ma nulla può alla fine contro la precisione del Codino, una conclusione quasi rabbiosa. Tapia diventa i tre fantasmi del “Canto di Natale” di Dickens, tutti insieme, in una rivisitazione calcistica che mette (quasi, purtroppo) in pari i conti di Roberto con il destino che l’aveva privato della più grande gioia della sua carriera. Un rigore per Pasadena, uno per le delusioni e per le tante resurrezioni di Baggio, uno per dare nuova linfa ad una vita calcistica che avrebbe avuto ancora tante pagine da scrivere. In una c’è il nome di Nelson Tapia. Portiere cileno, personaggio da romanzo, da non chiamare con quei due soprannomi che proprio non ama. Meglio saperlo, non si sa mai.
di Yari Riccardi

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