Quali sono i riti scaramantici più celebri del mondo del calcio?
19 Novembre 2021
L’acqua santa del Trap

Giovanni Trapattoni aveva una sorella suora. La signora Romilde, viveva presso il convento di Santa Maria Bambina di Lecco e accompagnava anche spiritualmente il fratello, che oltre ad essere stato per decenni l’allenatore più rappresentativo del calcio italiano (e di un certo modo di intendere tatticamente il calcio italiano) è tuttora un grande uomo di fede. Divennero iconiche le sue bottigliette di acqua santa fornite proprio da Romilde in occasioni dei Mondiali di Calcio in Giappone e Sud Corea nel 2002. Ne buttava sempre un po’ a terra prima dell’inizio del match, come a benedire non soltanto le sorti della partita: ma la sua stessa panchina.
Il santino di Ferdinando Coppola

Molto devoto alla Madonna di Loreto, l’ex portiere di Napoli e Bologna Ferdinando Coppola attaccava addirittura ai pali con dei cerotti un santino raffigurante la Madonna. «A inizio carriera posavo il santino in porta. Successivamente ho deciso che era meglio direttamente attaccarlo al palo attraverso dei cerotti che mi portavo dallo spogliatoio». Quando la fede va a braccetto col calcio.
Johan Cruijff e gli schiaffi in pancia

Non può esistere un rito scaramantico se sei probabilmente il giocatore più forte della storia del calcio europeo. E invece sì. Prima delle partite dell’Ajax di Rinus Michels il numero 14 della squadra doveva necessariamente prende a schiaffi in pancia il portiere dei Lancieri Gert Bals.
Valerij Lobanovskij e la scaramanzia nel calcio sovietico

Patria del materialismo, sembra assurdo che in Unione Sovietica potesse esserci spazio per la scaramanzia. E invece il colonnello Lobanovskij poneva sempre delle condizioni sia da allenatore della Dinamo di Kiev sia da commissario tecnico della Nazionale sovietica. In primo luogo nessun giocatore doveva indossare la maglia numero 13. In secondo luogo le convocazioni e le campagne acquisti dovevano essere regolate in modo che ci fosse sempre almeno un giocatore coi capelli rossi.
Dammi quel pallone: le manie di Roman Burki

Accarezzare il pallone coi guanti. Come per conoscerlo, familiarizzare. È questa l’usanza dell’estremo difensore svizzero del Borussia Dortmund Roman Burki. Prima di ogni match il portiere elvetico lo sottrae sia al bambino che lo porta in campo sia all’arbitro. Ha gioco facile visto che spesso i portieri chiedono di poter testare il pallone nel pre-partita per verificarne le principali caratteristiche. Ma in questo caso, è tutta scaramanzia.
Non cantante quell’inno

Puntualmente la stampa nazionale prende di mira quei giocatori che non cantano l’inno prima dei match tra rappresentative nazionali. In certi casi, commettendo anche svarioni considerando che non tutti gli inni hanno un testo (Spagna e Bosnia-Erzegovina in primis). Ci sono però dei giocatori che non cantano l’inno non perché stonati o perché non sanno le parole. Ma perché temono che una loro performance canora possa ridurre la possibilità di vittoria della partita. Il tedesco Mario Gomez e il ceco Tomas Rosicky appartengono a questa categoria.

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