Privacy Policy The Best of Africa, provate a vincere contro questo 11

The Best of Africa, provate a vincere contro questo 11

11 Marzo 2020

Michael ESSIEN

Michael ESSIEN

Se il granito prendesse forma, quello assumerebbe senza alcun dubbio le fattezze di Michael Essien. Il Bisonte è un argine che scherma la difesa, recupera palloni e riesce ad innescare le manovre di ripartenza, finendo spesso con il punto esclamativo del gol. Il Bastia lo pesca dal Liberty Professional a diciott’anni e il tecnico Antonetti lo colloca nel ruolo di centrocampista difensivo che farà la sua fortuna. Cresce a tal punto da trascinare i corsi alla qualificazione UEFA nel 2003 e l’Olympique Lione, padrone di Francia, lo acquista per posizionarlo fra le linee mediane. In due anni vince altrettanti titoli e le sue quotazioni salgono in fretta, tanto da convincere Roman Abramovich a scucire ben 38 milioni di euro per portarlo al Chelsea e dare a Mourinho il boost necessario al motore dei Blues. Il giocatore africano più pagato della storia non delude le attese del tecnico portoghese e ben presto diventa presidio insuperabile davanti a Terry e dietro Lampard. Vince due Premier League ed una Champions League con i londinesi nei suoi sette anni allo Stamford Bridge. Quando lo Special One si siede sulla panchina dei Galacticos lo chiama a sé per affidargli le chiavi della mediana, ma non riesce a dare la stessa spinta alla quale era abituato il tecnico di Setubal: «Daddy mi ha chiamato ed eccomi qua» dichiara al suo arrivo al Santiago Bernabeu, ma la stagione è interlocutoria e giugno 2013 fanno entrambi ritorno al Chelsea. Passa poi al Milan dove colleziona solo ventidue presenze in un anno e mezzo e il ricordo del carrarmato di centrocampo rimane tale nell’immaginario dei tifosi rossoneri. Inizia la sua carriera da globetrotter che lo porterà fino in Azerbaigian dove tuttora riveste i ruoli di giocatore ed allenatore Under 19 del Səbail Futbol Klubu.

Yaya TOURE

Yaya TOURE

Calciatore africano dell’anno per quattro anni consecutivi. Oltre cento reti realizzate in carriera, tre Premier League, due Liga e una Champions League. Con questo palmares, sfidiamo a non annoverarlo fra i più forti del continente africano. Non tragga d’inganno l’alto numero di reti: nonostante le sue mansioni non siano mai state propriamente d’attacco, la sua predisposizione al gol prescindeva dal gran senso tattico e dalle doti inarrivabili nel manovrare il centrocampo. Quel che si dice: un giocatore completo. Ma per arrivare ad un simile livello, Yaya ne ha dovuta far di strada. Cresciuto all’ombra del fratello maggiore Kolo, pilastro della difesa dell’Arsenal, il centrocampista ha mosso i suoi primi passi europei in Belgio, nel Beveren che lo acquista dall’ASEC Mimosas, fucina di talenti per eccellenza della Costa d’Avorio. Fallisce il ricongiungimento con il fratello ai Gunners dopo un provino andato male e, per questo, vola fino in Ucraina per accordarsi con il Metalurh di Donetsk che prova a farsi spazio nelle coppe europee. L’anno e mezzo nel Donbass gli vale la chiamata dell’Olympiakos con cui si laurea subito campione. La sua escalation non si ferma e, dopo un anno nel Principato, accetta la chiamata del Barcellona. In blaugrana riesce ad imporsi nello scacchiere di Rijkaard prima e di Guardiola poi, tanto da guadagnarsi le attenzioni di molti club in giro per l’Europa. I petroldollari – anzi, petrolsterline per la precisione – lo convincono a superare la Manica per dare il suo OK al trasferimento al Manchester City: i 10,8 milioni euro d’ingaggio annui lo fanno diventare il quarto giocatore più pagato al mondo. Con i Citizens s’impone nel ruolo di “tuttocampista”, riuscendo persino a segnare venti gol nel campionato 2013-14 che vedrà i mancuniani laurearsi campioni d’Inghilterra. Fallirà l’impresa di diventare campione d’Europa con gli Sky Blues e con il nuovo incontro con Pep Guardiola, chiamato a guidare il City, si conclude la sua esperienza inglese. Guida la sua Costa d’Avorio alla vittoria nella Coppa d’Africa del 2015, partecipando anche ai tre Mondiali sinora disputati dagli Elefanti.

Mustapha HADJI

Mustapha HADJI

L’anno in cui il suo nome è sulle bocche di tutti è il 1998. È l’anno dei Mondiali in Francia ed il suo Marocco rappresenta una delle sorprese più gradite della manifestazione iridata. D’altronde gli atlantici sono pieni di talento: spiccano in rosa Chippo, Saber e Neqrouz, mentre Mustapha guida il contingente maghrebino di stanza a La Coruña insieme a Naybet e Bassir. Il commissario tecnico è il francese Henri Michel ed il transalpino fa giocare i suoi in maniera propositiva e smaliziata, tanto da suscitare le attenzioni degli addetti ai lavori. Nella partita d’esordio contro la Norvegia, Hadji mette in mostra tutto il suo repertorio, sfoggiando velocità ed atletismo abbinata ad una tecnica sopraffina. È suo il gol del vantaggio che consente ai marocchini di portarsi temporaneamente in vantaggio: scatto sulla sinistra, converge verso il centro, manda in confusione il suo marcatore e buca Grodås con una conclusione forte e rasoterra sul secondo palo. In questa rete c’è tutto il compendio del suo bagaglio che gli valgono il titolo di Calciatore africano dell’anno. Con il Deportivo pone le basi del team che dominerà la scena spagnola per diversi anni e ciò gli vale la chiamata in Inghilterra da parte del Coventry City. Sono due anni positivi per lui, ma meno per il club che retrocede nel 2001. La chiamata dell’Aston Villa non si può rifiutare, nonostante le tre reti realizzate con gli odiati rivali l’anno prima. Tuttavia, l’esperienza a Birmingham non risponde alle aspettative e, dopo un nuovo passaggio in Spagna all’Espanyol, gioca sino alla soglia dei quarant’anni quando terminerà la sua carriera nel Fola Esch, in Lussemburgo.

Jay-Jay OKOCHA

Augustine OKOCHA
Credits: Mark Sandten/Bongarts/Getty Images

Se avete ancora fra le mani la Treccani, dirigetevi immediatamente alla voce “funambolo” per avere un’idea delle caratteristiche di Jay-Jay. Sacerdote del dribbling e padre putativo del virtuosismo, quello di Okocha è stato uno dei personaggi più amati sulla scena internazionale di tutti i tempi. Esplode con la golden generation della Nigeria nel 1996, in occasione delle Olimpiadi di Atlanta che valgono le luci della ribalta per ogni singolo componente della rosa. Con le Aquile Verdi, però, Augustine – sfidiamo chi di voi ricordava il suo nome di battesimo – ha già vinto la Coppa d’Africa due anni prima. La sua famiglia si trasferisce in Germania quando non ha ancora un anno e pone le sue basi per crescere in un ambiente “privilegiato”. Come accade spesso nei format televisivi, viene scelto dal Borussia Neunkirchen, in terza divisione, dopo che accompagna un suo amico agli allenamenti. I dirigenti ammirano le sue doti ed il giorno dopo lo mettono sotto contratto. La sua crescita è vertiginosa e nel giro di un anno si ritrova già in Bundesliga, con la maglia dell’Eintracht Francoforte. Tecnica e velocità fanno parte del suo DNA e proprio nel 1996, dopo l’ottima stagione in Assia e la medaglia d’oro olimpica, accetta la corte del Fenerbahçe. Anche grazie al suo aiuto, i gialloblù riescono ad interrompere il dominio di Galatasaray e Besiktas per il “controllo del Bosforo”. È il 1998 quando il Paris Saint Germain lo sceglie per guidare le manovre d’attacco, ma in quattro anni vince solo una Supercoppa di Francia. All’alba dei trent’anni giunge la telefonata tanto attesa: quella di Alex Ferguson per averlo con il suo Manchester United, il club più forte d’Inghilterra se non del mondo. L’entusiasmo per la firma sul contratto, però, rimarrà esclusivamente potenziale, visto che i Red Devils lo cedono in prestito al Bolton Wanderers. Una delusione? Non proprio, visto che diventa un mito della tifoseria dei Trotters con i quali rimarrà per quattro anni. Una puntata in Qatar per non farsi mancar nulla e poi l’ultima stagione con la maglia dell’Hull City, in Championship, che accompagna alla sua prima storica promozione in Premier League. Grande Jay-Jay.