Privacy Policy 10 numeri 10 di provincia

10 numeri 10 di provincia

19 Marzo 2021

Dieci Numeri 10. Piedi più che buoni, testa alta, tocco di prima, dribbling, gol e assist. Tutte le caratteristiche previste dalla maglia, con un qualcosa in più. Perché se 10 si nasce, non hanno importanza né gli stadi frequentati né le finali giocate, tantomeno i trofei e i campionati vinti. E non è necessario averla indossata per uno, due, cinque o nove anni: essere un Dieci è vocazione, è saperlo essere, per carisma e tecnica, anche se si indossa un altro numero di maglia, per caso, per forza o per scelta. Per essere un Numero 10 basta entrare nel cuore di tifosi e appassionati con quella giocata fatta sul campo di una grande, o nello stadio di casa spesso fortino anche per le nobili. E qui sì, oggi parliamo di nobiltà, quelle della nostra Provincia Calcistica e quella dei suoi alfieri più talentuosi, quelli che hanno reso possibili i sogni da Bergamo a Reggio Calabria, da Palermo a Udine, da Foggia a Perugia. Sono storie di grandi calciatori, che si intrecciano in occasione del 19 marzo, quando Franco Brienza da Cantù viene al mondo nell’anno 1979. Storie di Numeri 10, quelli che fanno sognare a prescindere dalla maglia indossata. Ed è proprio per il loro essere patrimonio dell’umanità e del nostro modo di intendere il calcio che non abbiamo fatto classifiche. Ve li vogliamo soltanto far salutare, come si fa con i vecchi amici, quelli che ci hanno regalato gioie, quelle belle.

Marco SGRÒ

Il numero di maglia l’ha cambiato più volte Marco Sgrò, piedi buoni per eccellenza, a pieno titolo nell’immaginario dei tifosi soprattutto dell’Atalanta, che lo hanno visto giocare per tre stagioni, la prima del 1995-96, quando si laurea in “architetto del centrocampo” con Fabio Gallo, quella indimenticabile del 1996-97, quando Marco diventa tra i principali artefici di una delle tante annate d’oro di quel ragazzo chiamato Filippo Inzaghi, e quella successiva, quando il numero diventa quello giusto, nell’annata tuttavia peggiore per i bergamaschi, che retrocedono. Dopo due anni non particolarmente memorabili a Genova sponda Sampdoria, Sgrò si appropria del tutto del numero 10 sia a Terni che a Monza. Da lì in poi si dedica soltanto alle serie minori, ma se sussurrate il nome di questo ragazzo, a Bergamo sarete i benvenuti.

Pietro STRADA

Questo bravo ragazzo di Brescia ha ricevuto la maglia numero 10 da, insomma, uno niente male, uno che l’ha certamente onorata. Parliamo di Gianfranco Zola, che partendo da Parma alla volta di Londra zona Chelsea lascia maglia e numero sulle spalle di Pietro Strada, pupillo di Carlo Ancelotti che lo ha avuto ed apprezzato anche alla Reggiana e che lo ha portato con sé al Tardini. In gialloblù l’ottimo Pietro esordisce in Serie A, guarda giocare Zola e prende appunti, per prendersi poi la 10 lasciata vuota dal fantasista sardo. Strada gioca, e bene, nella bella macchina messa a punto da Carletto, togliendosi la soddisfazione di giocare anche la Coppa dei Campioni. A fine carriera la soddisfazione di giocare con la maglia del Brescia, ma non va dimenticato che Strada è il 10 per antonomasia di una Salernitana tra le più amate di sempre, quella del 1993-94 e della splendida promozione in B, con tanto di Seria A sfiorata l’anno successivo. Strada a dirigere, Delio Rossi in panchina.

Federico GIUNTI

È il 10 per eccellenza del Perugia di Gaucci, alfiere di quella squadra che raggiunge la serie A nel 1996-97, a 15 anni dalla sua ultima partecipazione. Federico è il cervello della compagine umbra, una squadra ben costruita che del tutto inspiegabilmente a fine stagione torna in Serie B. Con Giunti ci sono Marco Negri, Milan Rapaic, Gautieri, Gattuso e Luca Bucci, e tanti, tantissimi altri, ma questo non basta per la salvezza, sfuggita ai Grifoni alla classifica avulsa. Federico da Perugia spicca poi il volo, con alterne fortune: Parma, Milan, Brescia (quello di Baggio), Besiktas, Bologna, Chievo, Treviso prima dell’inizio della nuova avventura in panchina. Una carriera più che dignitosa, che vede tra l’altro due campionati minori (C1 con il Perugia e B con il Chievo Verona) e due scudetti, uno con il Milan (quello del 1998-99) e con il Besiktas nel 2002-03.

Domenico MORFEO

Il buon Mimmo unisce una notevole tecnica ad una famigerata discontinuità nel rendimento. Idolo a Bergamo, simbolo del favoloso lavoro del settore giovanile dell’Atalanta, Morfeo esordisce in Serie A all’età di diciassette anni nella gara del 17 dicembre 1993. Sboccia così il delicato fiore del talento di San Benedetto dei Marsi, che si consolida nella stagione 1994-95 e si consacra nelle stagioni successive, quando Morfeo gioca, segna e propone assist che fanno le fortune dei suoi compagni. Resta nerazzurro fino al 1997, quando Mario Cecchi Gori lo sceglie come vice Rui Costa in viola. Fortune alterne, sprazzi di talento eclissati da momenti di insofferenza, stagioni travagliate. Milan, Cagliari, Verona e Inter, finché il destino propone a Domenico una seconda occasione. La maglia numero 10 del Parma trova un degno interprete dal 2003, quando Morfeo arriva in prestito e segna quattro reti in ventitré presenze. Il meglio arriva la stagione successiva: Mimmo si ricorda di essere ancora il golden boy partito da Bergamo e segna otto reti in trentuno presenze, oltre a offrire deliziosi assist per Alberto Gilardino. È questo l’ultimo sprazzo di una carriera bella ma incompiuta, per un giocatore spesso croce e delizia di allenatori e tifosi.

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