Privacy Policy Dalla Galizia all'Europa. La favola del Super-Depor

Dalla Galizia all’Europa. La favola del Super-Depor

30 Marzo 2021

Nel penultimo turno di campionato è arrivato un rotondo tris esterno, seconda vittoria consecutiva (diventate poi tre con la vittoria di Domenica sullo Zamora), sul campo del Celta Vigo, con tripletta del trentacinquenne Miku, attaccante venezuelano di passaporto ungherese, cresciuto nel Valencia e passato anche per un biennio in India. Peccato che la formazione avversaria sia solo quella “B”, rispetto a quella impegnata nella Liga, e che il palcoscenico sia la Segunda Division B, non esattamente l’élite del calcio europeo. Brutta fine, insomma, per il Deportivo La Coruña, quello che nel corso degli anni Novanta era balzato agli onori delle cronache come El Superdepor, capace di mettere alle corde le grandi di Spagna e d’Europa fino a conquistare il titolo nazionale il 19 maggio 2000. Ventuno anni fa, ma sembra passato un secolo. 

Ma andiamo con ordine, riavvolgendo la pellicola di tre decenni circa. Vi dice qualcosa il nome di Arsenio Iglesias, oggi novantenne? Beh, l’ascesa nel calcio che conta della formazione galiziana, espressione di una città di 250.000 abitanti, la si deve proprio a lui. È infatti il mago di Arteixo a scrivere alcune delle pagine indelebili della storia biancoblu, dopo averne vestito la maglia nel ruolo di attaccante ed aver lavorato con profitto da allenatore con Hercules e Saragozza. Il Deportivo, nel 1991, ritrova sotto la sua guida un posto nella Liga che mancava da vent’anni, ottenendo poi la salvezza l’anno successivo e costruendo le basi per il futuro.

Già, perché nel 1992 arrivano al Riazor, capace di contenere 33.000 persone, due personaggi che noi italiani avremo modo di conoscere due anni più tardi, nell’afoso pomeriggio di Pasadena dove si assegna il titolo mondiale: da São Bernardo da Campo, nello stato di San Paolo, arriva Mauro Silva, centrocampista difensivo che preferisce la sostanza all’estetica; in attacco, tuttavia, arriva dal Vasco de Gama José Roberto Gama de Oliveira, nome che a chi legge dirà poco o nulla, se non associato allo pseudonimo, Bebeto: che non sia un cuor di leone, questo lo sappiamo, ma comunque ha conquistato il titolo di calciatore sudamericano dell’anno non più tardi di tre anni prima e, a ventotto anni, è pronto a tentare l’avventura in Europa, e al primo tentativo porta il Depor al terzo posto, conquistando il Pichichi con ventinove centri. Con loro c’è anche un altro verde-oro, Donato, che arriva dall’Atletico Madrid e legherà il nome al club per un decennio, con oltre trecento gettoni di presenza.  

Sono gli anni del Barcellona “olandese” di Johan Cruijff, che conquista il terzo titolo consecutivo e tessera il compagno di Bebeto in nazionale, Romario, per rinforzare l’attacco. A La Coruña non hanno intenzione di passare da comparsa e alla vigilia dell’ultimo atto della stagione 1993-94 è padrone del proprio destino, pur essendo incalzato dai blaugrana, dopo esser stato al comando dalla quattordicesima giornata: se vince la sfida interna col Valencia, conquista il titolo, che viceversa prende la strada di Zubizarreta e soci, abili a liquidare senza problemi il Siviglia (5-2) e favoriti in caso di arrivo a pari punti. Quello che accade ha dell’incredibile: il risultato non si sblocca fino al minuto 89, quando l’arbitro Lopez Nieto assegna un penalty. Non c’è lo specialista Donato, Bebeto non se la sente di tirare (che il carattere non sia il punto forte, lo abbiamo già detto) e la “patata bollente” spetta al difensore slavo Miroslav Djukic: il pallone pesa, la conclusione del numero 5 è decisamente fiacca e il portiere Jose Luis Gonzalez non ha problemi a bloccare. Il titolo va dritto in Catalunya, con il Barcellona, indagato poi per aver “stimolato” il Valencia ad impegnarsi per sbarrare la strada ai galiziani nell’ultima sfida, che poi sarà travolto dal Milan di Capello nella finale di Atene della Champions League. 

Ma non passa molto tempo per arrivare a sollevare un trofeo al cielo, occorre giusto pazientare (e sbollire la delusione) giusto 365 giorni. È il giugno 1995 quando al Santiago Bernabeu di Madrid il Deportivo ritrova il Valencia, in un torneo “strano” perché Barcellona e Real Madrid si sono perse per strada agli ottavi di finale. Iglesias schiera Liaño tra i pali, retroguardia con il già citato Djukic, Voro, Ribera e Lopez Rekarte; in mezzo al campo Donato, un’altra bandiera come Fran, Nando e Aldana, mentre in attacco Bebeto è affiancato da Manjarin. Proprio quest’ultimo apre le marcature al trentacinquesimo, con un pressing efficace sulla distratta difesa avversaria, ma Predrag Mijatovic impattata a venti minuti dalla fine con una punizione da trenta metri, proprio durante un violento temporale che costringe alla sospensione e alla ripresa tre giorni dopo. Il Mago pesca giusto, nel replay, con l’ingresso di Alfredo: quest’ultimo taglia dalla destra, recupera una carambola e insacca di testa alle spalle di Zubizarreta, passato a difendere la porta dei Pipistrelli.

Iglesias saluta e viene sostituito dal gallese John Toshack, che porta a casa una Supercoppa, superando 3-0 nella finale d’andata il Real Madrid di Valdano, per poi resistere al Bernabeu dopo l’iniziale vantaggio di Hierro e rimontare nei 10’ conclusivi col solito Manjarin e con l’ex bandiera del Barcellona Txiki Begiristain. Che il Riazor sia terra prolifica per i brasiliani lo si scopre nel 1996, quando arriva dal Palmeiras un giocatore che sembra tutt’altro che un fenomeno: niente di più sbagliato, perché quarantuno partite e ventuno gol dopo, Rivaldo è già un Extraterrestre, soprannome che poi gli verrà affibbiato nel corso della carriera.

Prestazioni che convincono il Barcellona, sempre lui, a farne l’erede del Fenomeno Ronaldo, stavolta con la “effe” maiuscola, passato all’Inter di Moratti. 

Il nuovo millennio sembra l’alba di nuovi, grandi successi. In panchina è arrivato un basco di nome Javier Irureta, l’uomo che farà fare un altro salto di qualità. E che nel 2000, al suo secondo anno al Riazor, porta la squadra alla vittoria nella Liga, superando nel match decisivo l’Espanyol: alle sue spalle, distanti cinque lunghezze, curiosamente le due formazioni che avevano fatto piangere i supporters galiziani nel 1993-94, il Barcellona di Van Gaal ed il Valencia di Cuper. E quel Depor, capace di vincere ben ventuno delle trentotto gare disputate? Una favolosa sintesi di football internazionale: dall’Africa del portiere camerunense Songo’o al difensore marocchino Naybet, l’estro brasiliano di Djalminha unito all’umiltà del solito Mauro Silva e del connazionale Flavio Conceição, senza dimenticare la storia dei simboli del club, Donato e Fran, e tanti altri. Ah, no, scusate: al posto di Bebeto, in avanti, splende una stella olandese, quel Roy Makaay che segna 22 volte, chiudendo quarto una classifica marcatori vinta da Ballesta (Santander).

Seguono due secondi ed altrettanti terzi posti, oltre a due apparizioni nei quarti di finale della Champions League. Ma l’apice, forse, deve ancora arrivare: nel 2002 arriva un altro trionfo in Coppa del Re, ancora allo stadio Bernabeu, contro i Galacticos di Vicente del Bosque, in una gara voluta nella capitale proprio dalle Merengues per festeggiare il Centenario. In campo ci sono Roberto Carlos, Zidane, Raul e Luis Figo, ma la serata non andrà esattamente come preventivato: dopo sei minuti il centrocampista Sergio Gonzalez finalizza una bellissima azione battendo d’esterno Cesar Sanchez, mentre in chiusura di primo tempo è Diego Tristan a farsi trovare pronto sul primo palo e a firmare il raddoppio. Nella ripresa accorcia Raul, ma il trofeo va dritto a La Coruña con Marca che i giornali che titolano “Humillados en su Centenario”, esaltando il Depor-Campeon.

Ed eccoci giunti all’ultimo capitolo di questa splendida favola. Quello datato 2004. Che sia una Champions League sui generis, lo si può capire guardando le finaliste: a sollevare la Coppa dalle grandi orecchie è il Porto di un giovane Mourinho, che batte in finale il Monaco. Ma pochi ricordano, se non tra i tifosi italiani, quello che succede negli ottavi e nei quarti: il 25 febbraio va in scena l’ottavo d’andata con la Juventus, deciso da Luque. I propositi di rimonta bianconeri, al Delle Alpi, durano giusto una decina di minuti, il tempo che Pandiani batta Buffon e chiuda l’avventura bianconera nella massima kermesse continentale. Ma se non vi basta aver eliminato la finalista della precedente edizione, bisogna puntare allo “scalpo” più importante, in una rimonta che definire epica forse è poco: a San Siro, contro i campioni in carica del Milan, arriva un ko di proporzioni notevoli, un 4-1 in rimonta dove Pandiani (che probabilmente ha un conto aperto con le italiane) firma il vantaggio spagnolo prima del concerto rossonero firmato da una doppietta di Kakà, col contorno delle reti di Shevchenko e Pirlo. Il ritorno al Riazor sembra poco più di una formalità, per una squadra esperta e titolata come quella di Ancelotti: eppure, dopo cinque minuti, il solito Pandiani ha fatto 1-0 e Dida combina una frittata spalancando le porte a Valeron per il raddoppio. Nel finale di primo tempo una dormita di Cafu e Nesta permette a Luque di fissare il punteggio sul 3-0 con una bordata che si insacca sotto la traversa e di capovolgere le sorti della qualificazione, prima del poker nella ripresa di Fran, con il Milan in bambola.

Ecco, la splendida storia del Super Depor termina qui: dopo lo stop in semifinale col Porto, arriva un veloce quanto inarrestabile destino, tra crisi economica, retrocessioni e il ricordo dei tempi che furono. Nel 2009, addirittura, l’allenatore Miguel Lotina nel dare la formazione ai giornalisti cita i giocatori che hanno fatto la storia: Tristan, Makaay, Djalminha. E, ironia della sorte, l’unico spiraglio di luce datato 2019 vede una rimonta sullo stile di quella fatta al Milan, solo che a parti invertite: il Mallorca perde 2-0 all’andata, ma ribalta il punteggio al ritorno con un netto 3-0. A questo punto non resta che affidarsi alle reti di un improbabile quanto navigato bomber dal passaporto ungherese per sperare di rialzare la china e rivivere, nel futuro, almeno una piccola parte di gloria. 

Damiano Reverberi

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