Privacy Policy "El burrito" Ariel Ortega

“El burrito” Ariel Ortega

4 Marzo 2021

Le Sette Sorelle, nel mercato dell’estate 1998, si sfidarono senza esclusioni di colpi. Roberto Baggio all’Inter (con lui Andrea Pirlo, Sebastian Frey e Cristiano Zanetti), Bierhoff al Milan, Bobo Vieri, Salas, Stanković, Mihajlović, Sérgio Conceição, Iván de la Peña e Fernando Couto alla Lazio, Repka alla Fiorentina, Tudor che arriva alla Juventus, Bartelt centravanti della pazza Roma di Zeman (in attesa di Fabio Junior), Juan Sebastian Veron al Parma di Malesani vincitore di Coppa Uefa e Coppa Italia. Altri tempi, altro mercato: Simone Inzaghi che arriva al Piacenza e diventa subito protagonista a suon di gol, il trio della Svezia – Andersson, Madsen e Osmanovski – ad arricchire il Bari di Phil Masinga. Un mercato scoppiettante in un campionato che sembra di una vita. Un mercato che non vide protagoniste solo le grandi, le Sorelle.

El Burrito e l’Aeroplanino: la Samp sogna in grande

Ortega Sampdoria

Il vero colpo ad effetto di quel mercato fu Ariel Ortega, El Burrito, arrivato a Genova sponda Sampdoria per 23 miliardi di lire. Fantasista argentino scuola River Plate, molto genio e altrettanta sregolatezza, numero 10 sulle spalle, reduce dalla positiva esperienza di Valencia e da un buon Mondiale con la Selecciòn di Batistuta, Veron, Claudio Lopez, Gallardo e tanti, troppi altri. È di fatto il più importante arrivo dall’estero dell’estate 1998: piedi buoni, innamorato degli assist, dietro le punte o secondo attaccante a fianco del centravanti, Ortega avrebbe giocato vicino a Montella, in quella Samp che vedeva Spalletti in panchina, Ferron in porta, Moreno Mannini al centro della difesa insieme a Nava, Balleri e Pesaresi, l’indimenticato Pierre Laigle insieme a Pecchia, Sgrò e Vergassola, Francesco Palmieri (idolo a Lecce l’anno prima) altro centravanti insieme all’Aeroplanino. C’erano tutti gli ingredienti per sognare una stagione memorabile. E soprattutto c’era un numero dieci come a Genova non ne vedevano dai tempi di Roberto Mancini.

La rottura con Ranieri e il mercato

Ortega Valencia

Nato a Ledesma il 4 marzo del 1974 (auguri per i tuoi 47 anni, Ariel!) Ortega arriva a Genova a 24 anni. Era la fine del mese di luglio 1998, estate dei Mondiali di Francia che avevano visto protagonista il fantasista della provincia di Jujuy, l’Asinello, piedi buoni e andatura ciondolante, estro e visione di gioco, paragonato ovviamente a Maradona, il Dieci per eccellenza del calcio argentino, fin dall’inizio della carriera. Ortega in quell’estate è un uomo mercato, anche e soprattutto dopo la notizia della rottura con Claudio Ranieri, mister del Valencia. Ci ripensava il River, lo volevano in Inghilterra, alla fine la spuntò la Sampdoria del presidente Enrico Mantovani, figlio dell’indimenticato Paolo: Ortega diventa così l’erede di Juan Sebastian Veron, ceduto dai doriani proprio in quella sessione di mercato al Parma.

Talento e demoni: tutto il repertorio di Ariel

Ortega Sampdoria

Quella stagione fu per la Sampdoria quella delle contraddizioni e dei rimpianti. Nonostante Ortega, nonostante Montella, nonostante il cambio di allenatore – via Spalletti a dicembre, poi il breve interregno di David Platt (senza patentino, in panchina con lui Giorgio Veneri) e infine il ritorno di Luciano – e nonostante una squadra più che dignitosa quella Samp a fine campionato si ritrovò in serie B. Ariel fu l’emblema dell’altalena di quel campionato: grandi giocati, assist, dribbling, gol, tutto il repertorio di un fantasista di fama mondiale come era El Burrito all’epoca, con il contraltare della vida loca. Nella memoria di tutti una Mercedes che zigzagava nel centro di Genova, Ortega alla guida, con lui i sudamericani Caté e Cordoba (non Ivan Ramiro, ovviamente). Una notte brava, la Polizia che ferma l’auto, multa e polemiche. E dire che fino alla notte del 7 dicembre Ariel stava smentendo la cattiva fama con la quale era arrivato da Valencia. In campo, quando era in giornata, era il fuoriclasse di sempre: termina il campionato con 27 presenze otto gol. Tra questi, tre perle, che altro non hanno che aumentare i rimpianti e la nostalgia per quello che poteva diventare un fenomeno del pallone internazionale.

Le perle di Ortega

Piacenza, Empoli, Salernitana, Udinese le vittime di Ortega. Poi ci sono gli scalpi illustri, vere e proprie magie nelle porte di Milan, Juventus e Inter, tutte a Marassi. Due calci di punizione e un pallonetto tra i più belli visti in Serie A andando indietro con la memoria, lampi all’interno di mesi decisamente non memorabili, viste soprattutto le attese iniziali.

Il pareggio con i rossoneri

È l’esordio al Ferraris del duo Platt – Veneri. Il 20 dicembre del 1998 arriva il Milan di Maldini e Costacurta, di Weah, Bierhoff e Leonardo, che porta in vantaggio la squadra di Zac. Il pareggio di Palmieri e il nuovo vantaggio di Bierhoff (di testa, ovviamente): sembra fatta per il Milan. Solo che al minuto 86 l’arbitro fischia una punizione dal limite dell’area, e sulla palla va Ariel. Tutti si aspettano la palla a scavalcare la barriera. Sarebbe la soluzione più logica, se a tirare non fosse Ortega: gran tiro sul palo di Sebastiano Rossi e pareggio.

Un gol magistrale contro la Juve

Una Juventus niente male, quella che arriva a Marassi il 7 marzo del 1999. Qualche nome, tanto per farvi commuovere? Rampulla in porta, Montero in difesa, Conte, Deschamps e Davids a centrocampo, Pippo Inzaghi, Esnaider e un giovanissimo Henry (arrivato nel mercato invernale) davanti, Ancelotti in panchina. Vittoria dei bianconeri contro una Doria mai doma, e rete da fenomeno di Ariel Ortega, che al minuto 18 della ripresa decide di battere una punizione da più o meno 30 metri e di mettere la palla, a giro, sotto l’incrocio. Un gol da fenomeno, un gol da 10. Un gol alla Diego.

La goleada all’Inter

Il gol numero otto nel campionato di Ortega con la maglia della Sampdoria è il sigillo finale nel memorabile 4-0 contro l’Inter. Tripletta di Montella contro i nerazzurri guidati da Lucescu per l’ultima volta, viste le immediate dimissioni dopo la batosta. È proprio questa partita il manifesto del calcio di Ortega, dribbling, giocate, assist e velocità di pensiero. È lui ad offrire all’Aeroplanino il pallone dell’1-0, è lui a chiudere la partita quando, su assist di Montella, pensa bene di tirar fuori dal cilindro un pallonetto di prima intenzione, di esterno destro, che dolcemente si insacca alle spalle di Pagliuca. È l’estasi, effimera per la Samp, che si avvia alla retrocessione, e per i tifosi, incantati dalle giocate di Ariel, al suo ultimo grande spettacolo offerto a Marassi in una stagione per lo più deludente, per lui e per la squadra.

La parentesi a Parma e il ritorno a casa

Ortega Parma

Quella con i ducali, ai quali approda nell’estate 1999 dopo la retrocessione a Genova, è una parentesi amara per Ariel, durata una manciata di presenze in campionato – e tre reti contro Verona, Torino e Perugia – con cinque gettoni in Coppa UEFA. Erano gli anni del grande Parma, con il quale Ortega comunque vince la Supercoppa Italiana, con una squadra indimenticabile che vedeva Buffon, Thuram e Cannavaro in difesa, Fuser, Paulo Sousa, Walem e Stanic a metà campo e Marcio Amoroso al fianco di Hernan Crespo in avanti. La stagione successiva torna a casa, dunque al River Plate, con gli intermezzi di Fenerbahce, Newell’s, Independiente Rivadavia, All Boys e Defensores de Belgrano.

Monumental vuol dire casa

Ortega River Plate

È con i Millonarios che Ortega comincia la sua carriera, ed è con quella maglia che raggiunge i suoi traguardi più prestigiosi e gioca le sue migliori stagioni. L’esordio nel 1991 a quindici anni, le stagioni da titolare prima della partenza verso Valencia: in quegli anni Ariel vince tre tornei Apertura ed una Coppa Libertadores, segna e fa segnare all’interno di una squadra di veri fuoriclasse. Giusto qualche nome: Crespo, Aimar, Almeyda, Solari, Burgos e soprattutto Enzo Francescoli, simbolo del Cagliari degli anni ’90, in particolare nella stagione meravigliosa del 1992-93, quando i sardi arrivarono a qualificarsi per la Coppa UEFA. Fenomeni, tutti. Una banda nella quale Ortega ha dato il meglio di sé, facendo innamorare il calcio mondiale. I problemi successivi hanno minato una carriera che avrebbe potuto essere splendente, ma non hanno offuscato il talento di Ariel, degno di essere all’interno dei ricordi degli appassionati. La parola fine per la carriera di Ortega arriva nel 2012. Nel cuore di tutti le sue perle nel campionato italiano, i suoi dribbling simbolo di un calcio tutto istinto, classe e fantasia. Quando non era preda dei suoi fantasmi, Ortega è stato un più che degno numero 10 del calcio argentino.

Di Yari Riccardi

Ultime storie