Privacy Policy Fernando Redondo: ecco perchè è stato il centrocampista più elegante

Ecco perché Fernando Redondo è stato il centrocampista più elegante

6 Giugno 2020

Li accomunava soltanto il sinistro. Ma no, Diego e Fernando erano diversi. In tutto il resto. El Pibe de Oro non l’amava. Troppo diverse, quasi divergenti le loro storie. Non però il genio immaginifico che si condensava all’interno del loro piede mancino.

Diego, idolo intergenerazionale dell’intero popolo argentino, era l’emblema di quelli del barrio. Che con un pallone fra i piedi è riuscito, poi, ad ascendere agli altari della gloria eterna. Fernando, invece, era un figlio della borghesia bonaerense. Di quelli che, piuttosto che innamorarsi del pallone fra polvere e miseria, aveva rincorso la sfera di cuoio nei circoli sportivi della capitale, quella bene. Figli della stessa Buenos Aires, ma cresciuti in contesti diametralmente opposti. Solo il talento mancino – nella sua accezione squisitamente positiva – a far da trait d’union fra i due talenti cresciuti sotto la stessa coperta di stelle.

Fernando Carlos Redondo Neri, però, non ha mai sofferto questa discrasia. Anzi, si è fatto portatore di una nuova interpretazione del ruolo di centrocampista che lo ha reso uno dei principali precursori di una nuova concezione del calcio per l’intero arco degli anni ’90. «Lo specialista del dribbling è un giocatore di poker che bluffa con tutto il corpo e si gioca il pallone faccia a faccia con il suo avversario: chi vince se lo porta via». Nel postulato di Jorge Valdano si concretizzano tutte le peculiarità che possono ascriversi al ragazzo del 1969 e che ha avuto proprio nel campione del Mondo del 1986 il suo padrino.

Lo vede crescere nell’Argentinos Juniors, club con il quale esordisce nella massima serie all’età di quindici anni, e con i Bichos Colorados – le Formiche Colorate – Redondo s’impone immediatamente come elegante metronomo in mediana, già perfettamente in grado di ricoprire tutti i ruoli in mediana, assistito com’è da una tecnica sopraffina che gli consente d’imporsi in patria quando non è ancora diciottenne.

Il commissario tecnico dell’Argentina, Carlos Bilardo, lo vorrebbe con sé in occasione dei Mondiali di Italia del 1990, quando Redondo ha appena ventuno anni. Leggenda vuole che Fernando abbia rinunciato alla convocazione per terminare gli studi in Economia e Commercio, ma serpeggia la voce che il carismatico centrocampista abbia declinato l’invito a causa del gioco eccessivamente difensivista del tecnico. Seppur non termini gli studi universitari, nello stesso anno gli giunge la chiamata del Tenerife. Impossibile dir di no.

Fernando Redondo con la maglia del Tenerife mentre, sullo sfondo, c'è Diego Armando Maradona con la casacca del Siviglia
Fernando Redondo con la maglia del Tenerife mentre, sullo sfondo, c’è Diego Armando Maradona con la casacca del Siviglia

E se nei primi due anni il suo talento sembra quasi eccessivo se comparato alla media dei Chicharreros, è proprio l’arrivo sulla panchina del suo mentore Valdano che cambiano le carte in tavola. È il 1992 ed il tecnico è alla sua prima vera esperienza alla guida di un club e con i biancoblu mette in atto gli innovativi precetti del Flaco Menotti – commissario tecnico dell’Argentina campione del Mondo nel 1978 – che esaltano le caratteristiche di Redondo che diventa il fulcro intorno al quale gira tutto l’ingranaggio della squadra. Si passa, così, dal vivacchiare nei bassifondi della classifica ad un passo dalla retrocessione, al clamoroso quinto posto del 1992-93 che vale la qualificazione alla Coppa UEFA.

Redondo è il valore aggiunto che tutti i tecnici cercano nella nuova generazione di centrocampisti: gioca ad uno o due tocchi, è in grado di ragionare, così come di scattare per progredire poderosamente verso l’area avversaria. Il Tenerife cresce insieme a lui. E se Valdano è il Deus ex machina, Fernando ne è l’interprete terreno.

Non passa così tanto tempo, finché nel 1994 l’allenatore argentino viene richiamato alla Casa Blanca per spezzare l’egemonia blaugrana che aveva spostato gli equilibri del calcio spagnolo dalla Castiglia alla Catalogna. L’arrivo di Fernando Redondo sul palcoscenico del Santiago Bernabeu ha rappresentato la pietra miliare sulla quale il tecnico ha fondato la ricostruzione merengue. Interditore o ispiratore? Incontrista o play-maker? La carriera di Redondo, se vogliamo, spesso e volentieri si è ritrovata più che condizionata da questo “equivoco” interpretativo. Ma il gioco del calcio non consiste semplicemente nell’incasellare, così come il talento è una variabile impossibile da imbrigliare.

Fernando Redondo con la maglia dei blancos
Fernando Redondo in un incontro di Champions League contro il Rosenborg
Credits: Clive Mason – Allsport

Si sono succeduti gli allenatori, ma Fernando è rimasto sempre lì, al centro del progetto madridista. Leader carismatico, mai sopra le righe, ma capace di farsi rispettare sino allo scontro: celeberrimo quello con il commissario tecnico dell’Argentina, Daniel Passarella, durante i Mondiali di Francia ’98 che lo portarono sempre più ai margini dell’Albiceleste per essersi rifiutato di tagliare i capelli.

L’estetica, quella frivola, non gl’impediva però di declinarla verso una funzionalità di gioco che con il passar degli anni ha saputo conquistare il palato sopraffino ed esigente del popolo dei Blancos. Ed è così che si spiega quell’amore eterno che i suoi aficionados gli tributeranno – anche in maniera talvolta eccessiva – quando Florentino Perez deciderà di cederlo al Milan.

Il suo taconazo ai danni di Henning Berg nel Teatro dei Sogni di Manchester contro i Red Devils di Alex Ferguson è la cartolina-video che, ad imperitura memoria, Redondo lascerà in eredità ai futuri Galacticos. Mentre il Real Madrid sta sorprendendo i padroni di casa, campioni d’Europa in carica, essendosi portato sul parziale di 0-2, Redondo raccoglie un pallone e si porta verso il lato sinistro del campo, fronteggiato dal difensore norvegese. Il duello è appena iniziato e tutti sono in attesa di vedere cos’è che accadrà. Avrà la meglio l’estro dell’argentino o le rudi maniere del mancuniano? A far sobbalzare tutti – chi dal sediolino, chi dal divano di casa – ci pensa proprio Fernando con una mossa ai limiti dell’intelligibile: con un colpo di tacco lascia passare la sfera tra le gambe di un confuso Berg, impossibilitato com’è ad imbastire una difesa degna di questo nome. Mentre Henning è ancora lì che si chiede come abbia fatto Fernando a sopravanzarlo, Redondo è lì sulla linea di fondo che converge verso la porta difesa da van der Gouw e, dopo due tocchi di sinistro, riesce a trovare il pertugio giusto per consentire a Raul di depositare in fondo alla porta la rete del clamoroso 0-3. Madrid ed il Real sono ai piedi dell’argentino ed una sua prestazione altrettanto “extra-terrena” porterà in dote alle Merengues la Champions League nel derby di Saint-Denis contro il Valencia. Sembra il suggello di un amore che durerà in eterno visto che, ora, le primavere di Fernando sono trentuno.

Fernando Redondo effettua un colpo di tacco durante la partita di Champions League contro il Manchester United
Il centrocampista argentino illumina l’Old Trafford durante la Champions League 1999-00

Ma le storie d’amore, si sa, sono spesso e volentieri condizionate dal “bad boy” di turno. In questo caso assume le sembianze del “guastafeste” il neo-presidente Florentino Perez che ha nelle sue mire l’acquisto dei detestati barcellonesi del talentuoso Figo. E per farlo è disposto a passare su tutto e tutti. Anche spezzando cuori. È così che nell’estate del 2000 matura la cessione al Milan per trentacinque miliardi. Una decisione che scatena una vera e propria sommossa tra i madrileni, traditi dal loro neo-presidente che sta privando il loro Real dell’interpretazione terrena più vicina del tocco di Dio di matrice michelangiolesca.

Redondo si sente ferito, tradito e conduce la trattativa con la consapevolezza di dover interrompere un rapporto idilliaco per scelte che non dipendono dalla sua volontà. Le auto dei dirigenti milanisti, in visita nella capitale spagnola per concludere l’affare, vengono addirittura assalite dall’ira dei supporter del Real e gli striscioni esposti nel ritiro svizzero di Nyon non fanno altro che gettar sale sul cuore lacerato di Redondo.

Un cuore che, comunque, batterà anche per il Milan. E farà palpitare quello dei rossoneri. Nonostante il drammatico infortunio che lo tiene fuori dai giochi per due anni, proprio mentre la sua stella stava brillando sempre di più avvicinandosi alla supernova chiamata Diego.

«Gracias Fernando, siempre Real».

di Nando Di Giovanni

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