Privacy Policy Hidetoshi Nakata: tra Perugia, Roma e Captain Tsubasa

Hidetoshi Nakata, l’uragano calmo del Sol Levante

22 Gennaio 2020

Tradizione consolidata vuole che, al termine di un Mondiale, presidenti e direttori sportivi si prodighino per portare nella loro scuderia i purosangue migliori che si sono messi in mostra durante la kermesse iridata.
Nel bailamme dell’estate 1998, archiviata la melodrammatica avventura azzurra in Francia, tutte le attenzioni di addetti ai lavori e non si concentravano necessariamente su quali e quanti eroi del torneo appena trascorso avrebbe scelto di vestire una delle diciotto casacche della Serie A. Insieme a Salas, Stankovic, Lehmann, Ortega e Neqrouz, a varcare le soglie del Belpaese si presentò un centrocampista proveniente dal Giappone, fresco di esordio nella fase finale del Mondiale: Hidetoshi Nakata.

Nakata Giappone Francia 98

L’arrivo in Italia e l’illustre predecessore

Quando arrivò a Perugia in molti pensarono di trovarsi davanti ad una nuova meteora proveniente da un Paese lontano. La sensazione di parecchi era quella di trovarsi di fronte a un nuovo Kazuyoshi Miura, primo giapponese ad arrivare in Italia, anche lui con la fama di “talento”: era il 1994, e l’attaccante veniva acquistato dal Genoa. Finirà con 21 presenze e un gol, pesante, in un derby con la Sampdoria prima di tornare in patria (dove gioca ancora a “soli” 52 anni). Quella di Hidetoshi Nakata è stata da subito un’altra storia.

L’esordio e il Perugia formato Nostalgia

Era il 1998 e Hidetoshi era stato protagonista ai Mondiali di Francia con la maglia dei Samurai Blu. Ora toccava vestire la gloriosa casacca del Perugia: quella rossa, con il grifone sul fianco.

La squadra, quella di Castagner prima e di Boskov poi (e Mazzone la stagione successiva), poteva vantare un certificato doc di Nostalgia: ad accogliere il giapponese c’erano Sandro Tovalieri, Milan Rapaic, Alessandro Calori, Riccardo Maspero e tantissimi altri. Il presidente era Luciano Gaucci, e non c’è dunque bisogno di aggiungere altro.

Altro che bidone: prima stagione, dieci reti, L’esordio con doppietta alla Juventus, la perla in rovesciata contro il Piacenza. Una manna per i fantacalciofili che avevano scommesso sul numero sette con gli occhi a mandorla. Nakata stupisce in campo, ma anche fuori.

È Nakata-mania

Un italiano stentato, un traduttore che lo accompagnava in campo e fuori diventato idolo di Mai Dire Gol, il suo essere diventato meta di pellegrinaggio per i tantissimi turisti giapponesi, che iniziavano a venire in Italia non solo per Roma, Firenze e Venezia, ma anche per una foto con il loro idolo, costretto suo malgrado a cambiare più volte casa per sottrarsi, almeno un poco, al calore dei tifosi e soprattutto dei connazionali.
Perugia, in un battibaleno, si trasforma quotidianamente in un sobborgo di Tokyo: carrettate di fotografi, appassionati o semplici curiosi si assiepano sulle tribune degli stadi italiani per vedere da vicino cosa avrebbe combinato Nakata.

Hide è sempre più un personaggio, veste raffinato ed elegante, lontano dal mondo del gossip ma non dagli eventi mondani, arriva in anticipo agli allenamenti e alle partite per leggere un libro. È un eroe nel senso “più giapponese” del termine. Quando c’è bisogno, Hidetoshi Nakata arriva e risolve, un misto tra Hiroshi Shiba e Phoenix.

L’incontro con la Storia

Un Samurai, che mette la parola “servire” al centro della sua esistenza. Durante il mercato invernale del torneo che segna il passaggio nel nuovo millennio, la Roma di Capello sborsa ben trenta miliardi per portarlo ai piedi del Colosseo. Nel match cruciale contro la Juventus del 6 Maggio 2001 il giapponese entra al 15’ della ripresa al posto di Totti, con i giallorossi sotto per due reti a zero. Tempo di prendere la mira: prima un missile da fuori area sotto l’incrocio, poi a tempo scaduto il tiro che Van Der Sar non riesce a bloccare e che Montella scaraventa in rete per il pareggio della Roma e il sigillo sullo scudetto.

Nakata Roma Juventus

La sua missione

Servire, dicevamo sopra. Perché solo un Samurai viene a Roma e riporta lo scudetto in città dopo vent’anni. Entra al posto del simbolo della squadra, risolve, accenna un sorriso come se fosse quella la sua vera missione, il motivo per cui era arrivato nella Capitale, saluta e se ne va. “Ho fatto il mio dovere – sembra pensare negli istanti dopo la rete al Delle Alpi – ora posso anche andare”. L’eroe di un manga, Phoenix che arriva per salvare Andromeda dalle forze oscure, Yattaman che interviene proprio mentre il Trio Drombo sembra arrivare alla Pietra Dokrostone. Potremmo andare avanti ore, vista la vastità di esempi che arrivano dall’Estremo Oriente sul tema.

Il ritiro e il nuovo Hidetoshi Nakata

Dopo Roma cambia squadre, realtà, e conosce alterne fortune: gli ultimi sprazzi del vero Nakata se li gode il Parma, poi Bologna, Fiorentina e Bolton, prima del mondiale 2006 e della scelta del ritiro. Quello vero: niente corso per diventare allenatore, niente carriera da DS, niente ruolo da opinionista in TV. Niente di niente.

“Il fiore perfetto è una cosa rara. Se si trascorresse la vita a cercarne uno, non sarebbe una vita sprecata”. Aveva tutto, ma non aveva quello che cercava. E così Hidetoshi Nakata ha messo scarpini e pallone da parte a soli 29 anni e ha cominciato un’altra vita. Totalmente diversa da quella di prima.

Contro il Brasile l’ultima partita

“Da sei mesi avevo deciso di ritirarmi dal mondo del calcio professionistico, dopo il Mondiale di Germania. Non c’è stato nessun episodio né un motivo in particolare che mi ha portato a prendere questa decisione. Semplicemente sentivo che era arrivato il momento di staccarmi da questo viaggio chiamato calcio professionistico e volevo cominciare un altro viaggio che mi porti a scoprire un nuovo mondo. Tutto qui”.

Con queste parole, poco dopo il mondiale del 2006, il fantasista giapponese lascia il calcio per iniziare un’altra vita, fatta di viaggi, solidarietà, avventure imprenditoriali e moda, la sua passione già da calciatore.

Il nuovo viaggio comincia adesso. Non calcherò più un campo come giocatore, ma non abbandonerò mai il calcio. E durante questo viaggio sicuramente calcerò ancora il pallone con qualcuno in un campetto o in qualche parco come forma di comunicazione con la stessa passione che avevo da bambino”.

Questo aveva annunciato Hide nella sua lettera di addio, e questo ha fatto. Zaino in spalla, c’è tutto il mondo da vedere. Oman, Giordania, Sud Est Asiatico e Medio Oriente, Sudamerica. Un contatto diretto con la realtà, da viaggiatore in mezzo ai viaggiatori, da uomo in mezzo agli uomini. Un ex calciatore di assoluto successo che rinuncia ai lustrini per mettersi in cammino e capire, sé stesso e il mondo che lo circonda: roba da fantascienza anche solo a pensarci. Hide l’ha realizzata, senza troppi clamori e senza fatica. Lo ha detto lui stesso, del resto: “Se si viaggiasse di più ci sarebbero meno pregiudizi idioti e magari si capirebbe meglio se stessi”.

A Roma ci torna nel 2016 Nakata, nell’ambito di un evento benefico. E fa luce sul suo addio al calcio, legato a suo dire ai soldi che comandano, al business e agli stessi calciatori che pensano più ai loro interessi che al bene della squadra.

La ricerca della felicità

Questo è stato Hidetoshi Nakata, il samurai venuto in Italia per crescere, per vincere e per dimostrare a tutti che un’altra concezione di calcio è possibile. Calcio come gioco, come mezzo per raggiungere la completezza della vita ma non come fine ultimo. Perché il fiore perfetto spesso è altrove, e va solo cercato. Hide l’ha fatto. E non è poco, per chi, da calciatore, ha ricevuto anche complimenti non proprio da uno qualunque. “Se tutti i giapponesi cominciassero a giocare come lui, saremmo perduti. Sa cosa vuol dire tirare la palla, dribblare: meno male che per il momento i giapponesi si occupano d’altro”. Parole e musica di Diego Maradona, stregato dal talento di Hide. Solo che per Hide il calcio è stato soltanto una missione. Una volta compiuta, un inchino, e lo sguardo verso il mondo. Alla ricerca di nuovi orizzonti. Alla ricerca della felicità.

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