Privacy Policy Il grande ritorno di Roberto Baggio in quel Brescia-Fiorentina

Il grande ritorno di Roberto Baggio in quel Brescia-Fiorentina

21 Aprile 2020

Lo sappiamo tutti, ammettiamolo. Di divino Roberto non aveva solo il codino. L’affetto ai limiti dell’idolatria che ha suscitato. La passione che ha catalizzato. Su scala universale, senza confini e distinzioni. Oggi, come prima. E non ci dilungheremo nelle solite e mai banali dichiarazioni di amore verso quel che ha rappresentato nell’immaginario di noi giovani virgulti, figli degli anni ’80 e ’90 che abbiamo avuto la fortuna di vederlo in azione nel pieno del suo fulgore.

Non si è campioni per caso, non lo si è solo in campo, ma anche nella vita di tutti i giorni. E Roberto, non solo la domenica, si è fatto sacerdote e primo depositario di una filosofia di vita che prescinde dalla felicità come esclusivo raggiungimento del risultato sportivo. Anzi, esso non è che una componente di una summa ben più grande.

Sono passati diciotto anni da quel giorno in cui Roberto tornò in campo. Settantasette giorni dopo un’operazione al ginocchio per cui, in altri casi, ne sarebbero necessari oltre il doppio. Troppo forte la voglia di partecipare al suo quarto mondiale che, per giunta, si disputa tra Giappone e Corea del Sud. Lì dove è un mito che cammina. Troppo forte la voglia di dare una mano al suo Brescia nella corsa alla salvezza. Lì dove è il simbolo di una squadra e di una città.

È il 2002 e gli Azzurri sono pronti per affrontare il Mondiale in Oriente. I milioni di commissari tecnici sparsi sulla Penisola si dividono su chi debba essere il titolare fra Totti e Del Piero, o su quale modulo debba puntare Trapattoni. Ma tutti sono concordi su un unico punto: Roberto Baggio dev’essere convocato. È il pensiero comune. Non quello del Trap. L’opinione pubblica è unanime. La favola dell’uomo va a braccetto con il sogno dello sportivo. Un’intera Nazione gli dimostra il suo affetto in ogni modo. Lo dice anche quello striscione sulle gradinate del Mario Rigamonti di Brescia: «Per l’Italia è un oltraggio un Mondiale senza Baggio».

Il Brescia, quel 21 aprile 2002, affronta la Fiorentina in caduta libera ed ormai prossima al tracollo finanziario: la retrocessione è ormai certa ed il fallimento è, purtroppo, lì dietro l’angolo. Forse per uno scherzo del destino il rientro di Roby avviene proprio contro la squadra che l’ha lanciato sul gran palcoscenico della Serie A. Il destino ci ha provato a minare il suo cammino verso la gloria, accanendosi contro di lui, ma Baggio è stato più forte della sorte, superando puntualmente i tremendi infortuni che l’hanno colpito. L’alfa e l’omega.

Mancano venti minuti quando il pubblico si alza in piedi mentre Roberto leva la pettorina ed il quarto uomo si avvicina con il tabellone che certifica il suo ritorno in campo: gli fa spazio Giunti e mentre l’ex Perugia e Milan si dirige verso la panchina, anche Pep Guardiola fa lo stesso. Va contro il regolamento, ma non fa nulla: la fascia di capitano dev’essere sul braccio del “suo” capitano. S’inchina simbolicamente davanti ad una leggenda. La più genuina testimonianza del rispetto di un uomo verso un suo simile, capace di non arrendersi e di lottare ancora con lo spirito di un ragazzino. Anche se le primavere sono trentacinque.

E siccome le favole vanno scritte per bene, dopo qualche giro di lancetta, Baggio deposita in rovesciata di sinistro il gol del 2-0. L’abbraccia uno dei suoi fratelli, lì a bordo campo con la pettorina dei fotografi. Lo abbracciano i compagni di squadra, baciati dalla fortuna per condividere il momento lì, con lui. Lo alzano sulle loro spalle e lo portano in trionfo. Lo abbraccia l’Italia intera, che vede – anche dalle radioline – materializzarsi il sogno di Roberto. Che è quello di tutti. Baggio ancora in Nazionale. C’è ancora il tempo per vederlo realizzare un’incredibile doppietta poco prima del novantesimo. È l’apoteosi. La prova che i sogni possono realizzarsi.

«Se volete credo che la verità sia un’altra: in tutto questo tempo il mio unico obiettivo è stato lavorare, lavorare, lavorare. Ho addirittura trascurato la mia famiglia per questo. E ho messo tutto me stesso in quanto facevo. Però è vero che anche i medici sono rimasti stupiti».

L’impresa umana e sportiva, tuttavia, non è sufficiente a convincere il commissario tecnico degli Azzurri che sarà sordo al grido unanime di un’intera Nazione. La sorte gli sarà avversa, è vero, ma a quale prezzo. Forse sarebbe stato bello. Davvero molto bello.

di Nando Di Giovanni

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