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La Serie A 1984-85 è la Lega più competitiva della storia?

25 Settembre 2021

LAZIO

João BATISTA da Silva

Quando per oltre sei anni si guida il centrocampo dell’Internacional di Porto Alegre e della nazionale brasiliana accanto ad un certo Paulo Roberto Falcão, non puoi non avere dalla tua l’etichetta di “campione”. E, difatti, quando il neo-presidente laziale, Giorgio Chinaglia, annunciò l’acquisto da parte dei biancocelesti di João Batista nell’estate del 1983, le aspettative dei supporter laziali furono alte. Suggestivo ed evocativo il “derby” con il suo ex compagno di reparto di club e nazionale, stavolta separati dal Tevere e dai colori. Tuttavia, la sfida fu decisamente appannaggio di Paulo Roberto, conclamato ottavo re di Roma, mentre Batista si ritrovò ben presto a dover legare le trame fra reparti sfilacciati ed una squadra caratterizzata da diversi individualismi, ma senza una vera e propria identità. Infatti, la clamorosa retrocessione in Serie B fu la naturale conseguenza della carente organizzazione palesata dai capitolini e Batista affondò insieme ai compagni di squadra, senza riuscire a fornire il desiderato e necessario slancio per uscire dal pantano. Dopo lo scivolone fra i cadetti, Batista provò a trovare una dimensione migliore in quel di Avellino, ma anche al Partenio la musica non cambiò e, colui che era universalmente riconosciuto come uno dei mediani più dotati del continente sudamericano, mise in mostra il suo lato più oscuro, senza evocare particolari dispiaceri fra i tifosi quando salutò il massimo campionato italiano. 

Michael LAUDRUP

Non aveva neanche vent’anni quando in Danimarca erano già convinti di aver trovato l’erede di Allan Simonsen. Esordisce a diciassette anni fra i professionisti e l’anno successivo vince il premio di calciatore dell’anno. In patria stanno vedendo nascere e crescere colui che guiderà e porterà una generazione di ragazzi ad issare la bandiera nazionale in cima al tetto d’Europa. È il 1983 e la Juventus mette sul piatto del Brøndby ben un milione di dollari per tesserare il purosangue danese per la sua scuderia. Ma le regole dell’epoca impongono il limite di due stranieri per squadra, per questo Boniperti decide di mandar Laudrup alla Lazio, neopromossa, per aiutarlo a crescere, adattandosi ai ritmi del calcio italiano. Sebbene i biancocelesti navighino sempre ai margini della zona retrocessione, Laudrup riuscirà a togliersi diverse soddisfazioni ed a mettersi in mostra, tanto da meritarsi il richiamo alla base quando Boniek si veste di giallorosso nel 1985. Delle quattro stagioni vissute a Torino, soltanto la prima regala soddisfazioni – fra cui uno Scudetto e una Coppa Intercontinentale – mentre dopo l’addio di Platini, Michael non riesce a portar da solo la croce del dopo-Platini e nel 1989 saluta il bianconero per vestirsi di blaugrana. In Catalogna vince quattro scudetti di fila e, addirittura, riesce ad infilarne un quinto consecutivo, ma dopo aver salutato il Barcellona per accettare la corte degli acerrimi rivali del Real Madrid. Difficile vedere altri campioni come lui.

MILAN

Mark HATELEY

Dopo il colossale abbaglio di Luther Blissett, la dirigenza rossonera continua a pescare nel regno di Sua Maestà per fondare le colonne della rinascita del Diavolo reduce da due retrocessioni in Serie B. E dopo aver “ammirato” le gesta dell’erede dello Sciagurato Egidio, il presidente Farina decide di puntare forte su due grandi che si stanno facendo notare oltremanica. In attacco, dunque, arriva il perticone Hateley, protagonista indiscusso nella serie cadetta d’Albione con la maglia del Portsmouth. Il colpo di testa è il suo marchio ed è iconica l’immagine di Mark che sovrasta Collovati nella stracittadina di Milano mentre manda il pallone alle spalle di Zenga e riconsegna la vittoria nel derby ai rossoneri dopo un’attesa di sei anni. Seppur sia fondamentale nello scacchiere di Liedholm, il suo contributo di reti nell’arco di tre anni si limitò a diciassette spalmate in tre anni. Tanto poderoso, quanto fragile, salutò la Capitale della Moda lasciando in eredità ai milanisti la rete decisiva nello spareggio-UEFA contro il Torino nel 1987.

Raymond WILKINS

In patria, Ray era noto come Razor, ossia rasoio: merito della precisione chirurgica dei suoi lanci e delle sue geometrie che han fatto la fortuna del Chelsea prima e del Manchester United poi. La qualità del suo tocco sopperiva ad un dinamismo non così “spinto” che, tuttavia, non gli impedì di imporsi come uno dei migliori nel suo ruolo nella nazionale dei Three Lions. Fu proprio per questa sua attitudine che fu acquistato dal Milan per dettare i tempi delle manovre d’attacco rossonere, in quel che doveva essere il “suo” Falcão, davanti a Di Bartolomei che seguì Il Barone nella sua nuova avventura a Milano. Sebbene i successi in campionato languirono, le sue prestazioni lo fecero presto diventare uno dei beniamini della curva, affetto mai intaccato anche negli anni successivi. Nonostante la sua ottima carriera proseguì fino ad oltre quarant’anni con gli scarpini ai piedi, per poi rivelarsi anche ottimo nelle vesti di allenatore e vice-allenatore, non ebbe la stessa fortuna fuori dai campi di gioco e nel 2018, dopo un improvviso infarto, morì a soli 61 anni.