Privacy Policy La TOP 11 (+7) del Padova degli anni '90 - Pagina 5 di 5

La TOP 11 (+7) del Padova degli anni ’90

22 Marzo 2021

Demetrio ALBERTINI

Demetrio Albertini in azione allo stadio Appiani. Sullo sfondo si riconosce Angelo Di Livio

Il Padova gli dà la possibilità di prendere confidenza con il calcio dei grandi. E Demetrio non tradisce le attese. Anzi. Non ha ancora vent’anni quando viene premiato come “Speranza italiana dello sport”. Mastica calcio come pochi ed ha un piede così educato ed allo stesso tempo tagliente come non se ne vedevano da tempo da quelle parti. Disputa soltanto il campionato 1990-91 al Silvio Appiani, ma l’esperienza di Padova gli regala la necessaria maturazione che gli sarà fondamentale per diventare il maestro di calcio che tutti conosciamo. Segna cinque gol in ventotto impegni e sforna assist in quantità industriale, oltre a dettare i tempi del centrocampo. Preciso. Pulito. Efficace. Il Padova lo conosce bambino e lo restituisce uomo al Milan. E il Padova cresce anche insieme a lui.

Carmine NUNZIATA

Nunziata, a sinistra, festeggia la salvezza con Vlaovic, sullo sfondo, Longhi e Galderisi

Di giocatori come Carmine non se ne vedono più. E mancano, eccome se mancano al calcio “lucido e laccato” di adesso. Un professionista con la “P” maiuscola che è difficile trovarne di simili. E, per questo, il prototipo di calciatore che ogni allenatore vorrebbe avere in squadra. Chiamatelo eroe silenzioso, o portatore d’acqua. Nunziata a Padova è e rimarrà l’emblema del sudore, della fatica e della dedizione. Nonché della fedeltà. Sei anni con i colori biancorossi addosso e una quantità industriale di palloni recuperati e smistati per far felici i tifosi e coronare il sogno – poi realizzato – di giocare in Serie A. Cresce nell’Inter, ma la sua infanzia la vive nell’hinterland napoletano. Dove bisogna saper farsi rispettare. E lui lo fa con il pallone fra i piedi. Dopo una lunga trafila nelle serie minori, viene scelto da Zeman che poggia su di lui la pietra angolare sulla quale, poi, edificherà Zemanlandia. Dopo l’esordio in B, nel 1990 accetta l’offerta del Padova e lì vive i momenti più felici della sua carriera. Dopo la retrocessione del 1996, vive quattro anni fra i pro, equamente divisi fra Torino e Brescia, prima di scendere tra i dilettanti ed intraprendere la carriera da allenatore che, tuttora, lo vede impiegato nelle selezioni giovanili della Nazionale.

Ivone DE FRANCESCHI

Un giovanissimo Ivone De Franceschi, a sinistra, in posa con Alex Del Piero e Andrea Boscolo

In molti pensano che, se avesse avuto più fortuna, Checchi avrebbe avuto una carriera migliore – se non uguale – di quella del suo amico Del Piero. Ma quando il destino ci mette lo zampino, sotto forma di infortuni o episodi sfortunati, fino a sublimare nella scoperta di una malformazione cardiaca, forse è meglio accontentarsi di quanto si è stati in grado di costruire. Ed è comunque una gran bella costruzione, specie se i tifosi lo hanno eletto come uno dei loro beniamini sin dalla più tenera età. Non è ancora maggiorenne quando bazzica gli ambienti della prima squadra, ma deve aspettare il 1996 per esordire con la maglia della sua città. A Padova mette in mostra il tuo talento cristallino, un compendio di tecnica e talento che, con un pizzico di buona sorte in più, lo avrebbe relegato su palcoscenici ancor più prestigiosi. Apre la sua carriera a Padova. La chiude a Padova. Nel mezzo, le esperienze con il Venezia, la stagione indimenticabile allo Sporting Lisbona terminata con il successo in campionato, le mezze delusioni con Salernitana, Chievo Verona e Bari. Oh, giovani leve. Andate a vedere la lista dei calciatori che hanno partecipato alla sua gara d’addio. E lì, forse, avrete un’idea di cos’era, di chi era Ivone De Franceschi.

Goran VLAOVIC

Goran Vlaovic contrastato da Paul Ince durante Inter-Padova del 1995-96 terminata 8-2

Quando arriva a Padova, a ventidue anni, ha la faccia spaurita di un ragazzino semplice. Ai biancorossi bastano pochi minuti per capire che, dietro a quel volto quasi intimorito, c’è uno squalo dell’area di rigore, pronto ad azzannare i propri avversari. D’altronde, in Croazia, ha fatto letteralmente gli sfracelli con la maglia del Croatia Zagabria: negli ultimi due campionati ha segnato cinquantadue gol in cinquantanove partite. Fate un po’ voi. Non impiega tantissimo ad adattarsi ai ritmi della Serie A e, dopo un periodo di fisiologico rodaggio, nel mese di dicembre segna la sua prima rete al Cagliari. Al termine della prima stagione saranno cinque, ma quanto pesa il gol messo a segno nello spareggio dell’Artemio Franchi contro il Genoa. Conclusa con la salvezza la prima stagione, nel 1995-96 esplode letteralmente in coppia con Amoruso: la difesa dei patavini non regge il passo dell’attacco e ben presto i biancorossi sprofondano all’ultimo posto, ma Goran tira fuori il meglio di sé stesso. C’è in gioco l’Europeo in Inghilterra. Vlaovic innesta la quarta ed a fine anno segna tredici gol in ventitré partite che gli valgono la chiamata di Blazevic e l’ingaggio da parte di una big, come il Valencia, con cui resta quattro anni, prima di chiudere in Grecia nel Panathinaikos.  

Allenatore: Mauro SANDREANI

Sandreani è portato in spalla nel giorno della promozione in Serie A. A sinistra c’è Nunziata

Nelle memorie degli appassionati, Ilpadovadisandreani ormai rappresentava un vocabolo unico. Emblematico. Sandreani era un buon giocatore: da giovane aveva giocato in A con la Roma, o al fianco di Bruno Conti al Genoa, così come nel Lanerossi Vicenza. Ma gli infortuni lo penalizzarono e fu costretto ad un ritiro prematuro. Ed è per questo che, avendo appreso dai grandi allenatori del passato, è riuscito a far fruttare le sue conoscenze grazie alla lungimiranza del presidente del Padova, Marino Puggina, che nella primavera del 1992 gli affida la guida tecnica della prima squadra. Fino a quel giorno, Sandreani aveva ricoperto il ruolo di vice-allenatore. Ed è stato proprio il suo continuo lavorio, insieme alle sue intuizioni ed alla profonda conoscenza di uomini ed ambiente che è stato possibile dare il via ad un sodalizio che, tuttora, rimane impresso nelle memorie dei pasionarios del pallone sparsi un po’ su tutto lo Stivale. Grazie a lui ed ai suoi metodi, riuscì a tirar fuori il meglio dai suoi giocatori, seguendo un’interpretazione così personale del concetto di 5-3-2 che fece le fortune del sodalizio biancoscudato. La luna di miele è durata ben quattro anni e, nonostante le ottime referenze conquistate sul campo, non riuscì a ripetersi negli anni successivi a Torino, Ravenna ed Empoli. D’altronde, Sandreani è quello de Ilpadovadisandreani.

Nando Di Giovanni