Privacy Policy Vujadin Boskov: la Top 11 dei giocatori più forti che ha allenato

La top 11 di Vujadin Boskov. Bella come cervo che esce di foresta

16 Maggio 2020

Calciatore, allenatore, filosofo, umorista, maestro di vita, di conoscenza e di lealtà. Scegliete voi quale sia la rappresentazione che meglio ritrae il poliedrico Vujadin Boskov, nato esattamente ottantanove anni fa in una sperduta località di circa tremila abitanti nei pressi di Novi Sad. Zio Vuja, come veniva chiamato affettuosamente dalle persone a lui più vicine, è partito da Begec ed è diventato cittadino del mondo, ha distribuito sapienza calcistica e aforismi, ha allenato e vinto, ha venduto sogni che sono diventati trofei e, la cosa che forse più lo gratificava, si è guadagnato la stima degli appassionati di calcio e dei tifosi, anche di quelli delle squadre rivali, grazie alla sua ironia sdrammatizzante, accentuata ancor di più dal quel suo inconfondibile accento balcanico.

Boskov è stato uno di quegli allenatori che non ti insegnano solo a tirare un calcio ad un pallone, ma ti impartiscono lezioni sul senso della vita anche solamente attraverso una battuta, all’apparenza banale ma che banale non è. «Rigore è quando arbitro fischia», tanto per ricordare la sua massima più celebre, ovvero: «Che ti lamenti a fare? È andata così, guarda avanti».

Nel giorno del suo genetliaco abbiamo voluto rendere omaggio a questo vero e proprio saggio del nostro amato Pallone attraverso una ideale Top 11 dei giocatori allenati dal Professore nelle sue diverse esperienze italiane. Dalla Sampdoria vincente in campo nazionale e internazionale (1986-92) e il cui ricordo è indissolubilmente legato al nome del tecnico serbo, fino al Perugia salvato in corsa nel 1999, passando per l’Ascoli di Rozzi (1984-86) e due grandi in cerca di rilancio come Roma (1992-93), Napoli (1994-96). Senza dimenticare, infine, il breve ritorno sulla panchina blucerchiata (1997-98), per risollevare le sorti della “sua” Samp dopo la fallimentare gestione del tecnico argentino Menotti durata appena otto giornate.

Proprio come un vate, votato alla filosofia della semplicità del gioco, in qualunque piazza Boskov abbia predicato il suo pensiero, ha fatto proseliti. Non deve essere un caso se diversi elementi di questa squadra ideale, rigorosamente schierata con il 4-4-2 caro a lui caro, sono diventati allenatori di successo una volta appesi gli scarpini al chiodo. Tra gli esclusi eccellenti (per non aver giocato in Italia) vi è un tale che per sua stessa ammissione deve tutto al Professore di Novi Sad. Di nome fa Vicente, di cognome Del Bosque e fu centrocampista nel Real Madrid di Boskov a cavallo tra gli anni ’70 e ’80: da entrenador ha vinto letteralmente tutto quello che si può vincere.

Prima di lasciarvi a questa irrealizzabile quanto meravigliosa squadra, non priva di qualche licenza che ci perdonerete, e prima di farvi sorridere con i precetti del pensiero boskoviano che la accompagnano, vogliamo ricordare Vujadin Boskov con la sua massima più bella. Specialmente se detta da un uomo che ha amato la sua compagna di una vita, Jelena, nel modo in cui ogni donna vorrebbe essere amata: «Se uomo ama donna più di birra gelata davanti a tv con finale, forse vero amore, ma non vero uomo».

Gianluca PAGLIUCA

«Ma chi ha sbagliato Pagliuca?»

Per onorare il numero “uno” di questo undici tutto speciale non potevamo che rispolverare questo amletico dubbio di Boskov, risalente ad un Bari-Sampdoria della stagione 1991-92 e che si trasformò in un tormentone della Gialappa’s Band, sempre pronta a riproporlo nei rari errori del portierone della nazionale e della Samp dello Scudetto. Poco prima del fischio della gara, Boskov, intervistato a bordo campo, è profetico: «Favoriti esistono solo quando si vince». Ed infatti è David Platt, futuro doriano, a firmare il pareggio per i galletti approfittando di un’uscita a vuoto del portiere avversario. Eh sì… ha sbagliato proprio Pagliuca.

Fabio CANNAVARO

Fabio Cannavaro nel Napoli di Boskov

«Io penso che tua testa buona solo per tenere cappello»

Così replicò il maestro di Novi Sad ad un giornalista che paventava un coinvolgimento dei partenopei nella lotta per non retrocedere. È pur vero che il Napoli di Boskov non è ricordato tra le grandi del nostro calcio. Ma nel biennio azzurro, Boskov ebbe modo di dare la sua impronta alla formazione tecnico-tattica di un giovane difensore, schierato qui in via eccezionale sulla fascia destra, che si stava affermando nel panorama calcistico italiano e che qualche anno dopo avremmo tutti ricordato con una Coppa del Mondo tra le mani.

Pietro VIERCHOWOD

«Se non gioca Castellini io mettere Hugo. Altro non hai»

Ecco la sintesi di quello che passò per la testa di Zio Vuja quando al ritorno sulla panchina della Sampdoria nell’autunno del 1997 ebbe a ritrovarsi una difesa lontanissima parente di quella lasciata solo qualche anno prima. Una linea difensiva che vedeva in Vierchowod, difensore arcigno e veloce a cui una volta disse: «Tu prendi Gullit e te lo metti nel taschino», la sua colonna portante. Con buona pace del povero centrale portoghese ex Sporting Braga che, pur non sfigurando nella nostra Serie A dal 1997 al 2000, in comune con il Russo aveva solo il ruolo in campo.

Sinisa MIHAJLOVIC

Boskov alla Roma

«Ci sono allenatori che pretendono di far mangiare ai loro giocatori prosciutto di San Daniele e formaggio Bel Paese. Poveri noi e poveri loro»

Uno dei “vice” in campo di Vujadin Boskov, che ha avuto il piacere di allenarlo sia nelle squadre di club che in nazionale seguendone l’evoluzione tattica, da esterno di sinistra nel centrocampo giallorosso a difensore centrale nella Sampdoria e nella nazionale jugoslava. Boskov-Mihajlovic: un rapporto di osmosi calcistica, con i due sempre pronti al confronto e il cui risultato finale è quello che abbiamo la possibilità di vedere oggi. Sinisa è un allenatore tutto d’un pezzo, che fa del rigore e del metodo le prime regole, proprio come il suo maestro: «Senza disciplina vita è dura». E non stentiamo a credere che Sinisa, come Boskov, non farà mangiare ai suoi giocatori solo prosciutto e formaggio.

Srecko KATANEC

Credits: imago/Colorsport

«Partita finisce quando arbitro fischia»

Lo sloveno era il jolly dello scacchiere doriano di Boskov, capace di assicurare la garanzia della prestazione sia da mediano, suo ruolo naturale, che da terzino sinistro, posizione in cui disputò anche la sfortunata finale di Wembley persa con il Barcellona nel 1992. Katanec era letteralmente ammaliato dalla chimica relazionale di Boskov a tal punto che a Genova decise di abitare nel suo stesso palazzo. Otto anni dopo quella maledetta partita, i due si ritrovano da avversari, come commissari tecnici, ad Euro 2000. Boskov con la sua Jugoslavia, Katanec con la sua Slovenia. A ventitre minuti dalla fine i biancoverdi di Zahovic sono sopra di tre gol, oltre a godere della superiorità numerica in campo per l’espulsione di Mihajlovic. L’allievo sembra superare il maestro. Poi leggi il tabellino finale, che recita 3-3 e ti chiedi come sia stato possibile. È la magia del calcio o è l’arcinota follia sportiva dei giocatori slavi, capaci di tutto e del contrario di tutto. Noi preferiamo credere ad una terza versione, più romantica: Srecko non se l’è sentita di dare un dispiacere al suo vecchio maestro.

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