Privacy Policy Leo nella casa di Diego

Leo nella casa di Diego

24 Febbraio 2020

Caro Lionel, anzi

Caro Leo,

finalmente, dopo vent’anni il Napoli ha assegnato di nuovo la maglia numero “10” e non poteva che scegliere te un campione argentino, come il tuo illustre predecessore. Gli ultimi ad indossarla in Serie A furono Fausto Pizzi (1995-96), Joubert Martins Araujo, al secolo Beto (1996-97) e Igor Protti (1997-98). I primi due non lasciarono il segno, e Igor fu suo malgrado coinvolto nella rovinosa retrocessione del Napoli dopo 33 campionati consecutivi in A. Tutti buoni giocatori, per carità, ma certamente neanche avvicinabili all’eccellenza di Diego Armando Maradona. Nel 2000 la società, fresca di ritorno in A, decretò il ritiro della maglia, probabilmente convinta che un maleficio si fosse abbattuto sulla “10” così incautamente assegnata.

Caro Leo, quando martedì sera finalmente uscirai dal tunnel del San Paolo per ricevere l’ovazione dei tifosi napoletani, quella maledizione si spezzerà e il tuo cammino sulle orme di Diego potrà dirsi completato, onorando ancor di più l’eredità maradoniana di cui già da tempo sei stato investito. Sarà così per noi nostalgici e probabilmente per molti, ma non per tutti: in Argentina ancora si aspettano da te la Coppa del Mondo. C’era riuscito Diego con una nazionale fatta di gregari, con il solo Valdano a parlare la stessa lingua del diez, quella con cui si dà del tu al pallone per capirci e che tu parli benissimo. Dovrai riuscirci anche tu.

Dieci campionati spagnoli, otto Supercoppe di Spagna, sei Coppe del Re, quattro Champions League, tre Supercoppe UEFA e tre Mondiali per club, non bastano in patria a renderti grande come El Pibe de oro, che a livello di club ha vinto molto di meno, ma ha portato i tuoi connazionali sul tetto del mondo. E lo ha fatto come solo lui avrebbe potuto fare. Con un mondiale, quello di Messico ’86, da fenomeno, da trasgressore delle regole. Gli inglesi, “usurpatori” – per lato argentino – delle Malvinas quattro anni prima, ai quarti vengono battuti e infamati da Diego che prima li disonora con la Mano de Dios e poi li abbatte, tecnicamente ed emotivamente, con un gol in solitario che sta al calcio come la Commedia di Dante sta alla storia della letteratura italiana. È ancora una doppietta di Diego che trascina l’albiceleste contro i Diavoli rossi del Belgio in semifinale ed è sempre lui, in finale, a fornire l’assist a Burruchaga per la rete del 3-2 che incide il nome della vostra nazione sull’albo d’oro della competizione. E così iniziano a circolare i santini di Maradona in Argentina, come poi a Napoli negli anni a venire. Santa Maradona, canterà Manu Chao con La Mano Negra nel 1994. Passeranno altri 4 anni e Maradona diverrà “ufficialmente” oggetto di culto con la fondazione della Iglesia Maradoniana, il 30 ottobre del 1998, a Rosario.

Proprio tu, che da bambino avevi il poster in camera di Pablo Aimar, fortissimo trequartista “nostalmagico” di River Plate e Valencia. Volevi diventare come lui e invece lo hai ampiamente superato fino a diventare divinità, proprio come Diego fece con quel genio di Ricardo Bochini. Questo ha voluto il destino e al Fato, si sa, si deve inchinare pure Giove. A proposito, ma lo sai che vuol dire “nostalmagico”? Beh, ora che sei in Italia lo capirai presto.

Caro Leo, torniamo a noi, lo sai anche tu che sono troppi i punti in comune, troppe le analogie, con El Pibe de oro per non essere considerato la sua versione 2.0. Superficialmente potremmo limitarci all’aspetto fisico: neanche 170 cm di statura e un baricentro basso che sembra fatto apposta per resistere alle cariche dei difensori avversari. Oppure potremmo concentrarci sull’estrazione sociale e le vostre comuni umili origini. Eh già, le origini, gli albori del vostro mito, storie dove i fatti reali ormai si sono uniti a quelli di fantasia fino a diventare leggenda. Singolare che questo fenomeno si sia verificato “ora”, negli anni 2000, nell’epoca del dominio di internet dove ogni fatto sembra documentabile e rintracciabile, come “allora”, negli anni ‘80, dove inventare storie senza riscontri era senza dubbio più facile. E la leggenda vuole che a vedere un undicenne Maradona giocare nelle “Cebollitas”, ovvero le giovani risorse dell’Argentinos Juniors, accorressero 5.000 persone ogni sabato.

Infatti, Diego è già mito popolare a quindici anni, quando il Pippo Baudo d’Argentina, al secolo Pipo Mancera, si interessa a lui e si reca nella baraccopoli di Villa Fiorito, dove vive la famiglia Maradona, per intervistarlo: «Mi primer sueño es jugar en el Mundial. Y el segundo es salir campeón» dirà Dieguito. Frase banale, ascoltata lì per lì, molto meno a risentirla ora. Per te, Leo, non si è scomodata alcuna tv, eppure già tutto il quartiere veniva a vederti quando tiravi i primi calci con la squadra del vicinato: il Club Grandoli. E sono in migliaia anche per te qualche anno più tardi, aggrappati alle reti del campo dove giocano le giovanili con la camiseta rojinegra del Newell’s Old Boys che in quattro anni, grazie ai tuoi 234 gol in 179 gare, perdono una sola partita.

Credits: Denis Doyle/Getty Images

Caro Leo, negli interminabili paragoni con Diego, ti viene rimproverato di aver sempre giocato e vinto insieme ad altri fenomeni, mentre lui era in grado di vincere da solo. Come se il talento non fosse stato una tua prerogativa, ma fosse fluito osmoticamente da i vari Ronaldinho, Iniesta, Xavi, e molti altri ancora, che ti hanno giocato accanto. È vero, Diego era l’eroico capo-popolo che guidava i ribelli su un campo di calcio. Dopotutto, i fatti parlano chiaro, Maradona ha dato il suo meglio con squadre dal blasone minore come Napoli e Argentinos Juniors e si è limitato ad una (stra)ordinaria amministrazione con Boca Juniors e Barcellona. Singolare, anzi oserei dire paradossale, che tutto ciò, anziché essere indicato come un suo limite, divenga una tua mancanza.

Caro Leo, sei stato spesso ritenuto privo del suo carisma e del suo carattere. Probabilmente chi lo ha scritto non conosce la tua storia. Non sa dei dolori e delle nausee sofferti da adolescente per curare il tuo ipopituitarismo. Non sa che hai sopportato tutto questo con senso di responsabilità, per rispettare i sacrifici della tua famiglia che era fuggita dalla crisi economica per cercare fortuna con te in Spagna, dopo che Newell’s e River Plate si erano rifiutati di farsi carico delle tue cure da 1000 dollari al mese. Appena ti vide giocare. il direttore tecnico del Barça, Charlie Rexach, chiamò i tuoi agenti e gli fece firmare un contratto su un tovagliolo di un bar (oggi custodito in una Banca di Andorra, come una reliquia). Non poteva correre il rischio che qualcun altro gli scippasse un ragazzo “che sembrava provenire da un’altra galassia”.

E guarda un po’, singolare coincidenza, a curare il tuo trasferimento al Barcellona, comprensivo di cure mediche a spese del club, è stato proprio Josep Maria Minguella, che circa diciotto anni prima aveva curato l’approdo del Pibe verso lo stesso porto di Barceloneta, provenienza Boca Juniors. Peccato però, che poi Diego scelse di affidare i suoi interessi ad altre figure che ne dilapidarono il patrimonio con investimenti folli. Ecco, in questo tu non hai mai sbagliato, ti sei sempre circondato da persone fidate, non ti sei mai fatto attrarre dai falsi amici e non sei mai entrato nei giri sbagliati. Barcellona è diventata la tua casa e il Nou Camp ha potuto vedere in te quello che in Diego ha visto solo a sprazzi. Nel meraviglioso tempio del calcio catalano, le tue movenze, la tua essenzialità nel dribbling, sprovvisto di inutili ricami e finalizzato all’obiettivo, ti hanno posto in linea di continuità con Maradona. Così è stato quando il 18 aprile 2007, contro il Getafe, hai emulato il tuo Maestro e con un magnifico assolo hai riprodotto il gol agli inglesi. Così è stato sempre, fin da quando il tuo piccolo piede sinistro ha messo piede sul campo di Grandoli facendo innamorare di te chiunque ti vedesse giocare. Di tutte le cose che ho letto su te e Diego, solo una è capace di racchiudere la grandezza di entrambi in maniera perfettamente compiuta: “Messi è Maradona tutti i giorni” e il merito di questo aforisma è di Jorge Valdano. Si proprio lui, quello che con Diego ha vinto un mondiale nell’86.

Caro Leo, sì, lo so, è stato bello favoleggiare con carta e inchiostro. Martedì sera, ahinoi, non vestirai la maglia del Napoli, Protti rimarrà ancora l’ultimo giocatore ad aver indossato la dieci azzurra in Serie A e tu uscirai dal tunnel del San Paolo con la stessa divisa blaugrana che vesti ormai da venti anni. Sull’azzurro, invece, si è orfani da quasi venticinque. Sarebbe bello, un giorno, vederti qui. Da più vicino. Magari proprio al Napoli. Perché no, sarebbe una bella storia tutta da (ri)scrivere. E poi, lo sai anche tu che maglia vestiva Diego prima di alzare la Coppa del Mondo a Città del Messico, no?

I precedenti con le Italiane

Per Lionel Messi sarà la prima volta contro il Napoli, la quinta squadra italiana che si troverà ad affrontare da avversario in gare ufficiali.

Quattro i precedenti contro la Juventus, 2 le reti segnate, tutte nel 3-0 casalingo ottenuto alla prima giornata dei gironi di Champions League 2017-18. Zero reti per il Barça e per il sei volte pallone d’oro nel doppio confronto valido per i quarti di finale di Champions 2016-17 dove è un altro fantasista argentino, Paulo Dybala, a rubare la scena al suo compagno di nazionale. Messi rimane a bocca asciutta anche nella finale vincente del 2015, ma trova il modo di lasciare lo zampino sulla vittoria propiziando il 2-1 di Suarez.

Credits: Daniele Buffa/Image Sport

Sono due anche i gol realizzati contro la Roma in 4 confronti. Anche in questo caso Messi realizza le sue marcature in una sola gara, ovvero nel 6-1 del 24 novembre 2015 (fase a gironi di Champions), rimanendo a secco negli altri tre confronti e soprattutto non riuscendo ad incidere nella storica remuntada giallorossa (0-3 all’Olimpico, dopo il 4-1 dell’andata) dell’aprile 2018.

Fortunati, invece, gli interisti che non hanno mai visto Messi causargli un dispiacere. Anzi potremmo dire che Messi lo hanno visto raramente in campo, ovvero solo il 50% delle gare giocate tra Internazionale e Barcellona. Nel 2009-10 il Barça incrociò nel suo cammino europeo per 4 volte l’invincibile armata nerazzurra di Mourinho. Messi scese in campo per 3 volte, senza mai andare a segno. Nel doppio confronto di quest’anno il campione argentino, causa infortunio, non era neanche a referto.

Ben diverso il rendimento quando Messi incontra l’altra metà di Milano. Ben 8 segnature in 8 incontri dal settembre 2011 al novembre 2013 contro i rossoneri. Nelle notti insonni dei milanisti ricorre sicuramente l’incubo vissuto il 12 marzo 2013, durante gli ottavi di finale di Champions League, e che probabilmente coincide con la miglior prestazione del fuoriclasse di Rosario contro le italiane. Il Milan si presenta al Camp Nou forte del 2-0 ottenuto tre settimane prima tra le mura amiche del Meazza. Non passano neanche 5 minuti che Lionel leva le ragnatele dall’incrocio dei pali con un sinistro a giro di rara potenza e precisione. Abbiati non ha neanche il tempo di accennare la parata. La musica è chiara: i blaugrana danzano sul pallone, accelerano e decelerano i passi in armonia con il tango argentino che Messi sta suonando. Il Milan (tra)balla in difesa e prova a colpire solo con le ripartenze. Come si concluderà la serata, gli dei del calcio lo fanno capire già al 38’: Niang conclude la sua solitaria fuga in contropiede colpendo il palo; 70 secondi dopo Messi trafigge ancora Abbiati con un sinistro rasoterra con Mexes e Constant ancora nulli nella marcatura dell’asso argentino. David Villa (55’)e Jordi Alba (92’) completano la rimonta estromettendo il Milan dalla competizione.

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