Privacy Policy Nicola Berti: il cavallo nerazzurro

Nicola Berti: il cavallo nerazzurro

14 Aprile 2020

«Berti deve imparare a disciplinarsi, ma quando decide di avanzare è immarcabile, uno spettacolo, con la sua corsa da etiope brutta ma efficace». Ci permettiamo di scomodare la penna di Gianni Mura, indimenticabile esteta della carta stampata che ci ha lasciato solo pochi giorni fa, per tentare di circoscrivere ad un periodo con soggetto, verbo e complemento, il caleidoscopio emozionale che era in grado di suscitare lui. E solo lui. Nicola Berti. Impossibile dar torto all’autore milanese.

D’altronde Nicola era il personaggio archetipale del giovane divo degli anni ’80: campione e scapigliato, irriverente e al servizio della squadra; troppo distinto per essere definito “paninaro”, troppo pane e salame per costringerlo nell’etichetta di “giocatore elegante”. Né di provincia, né metropolitano. Né centrocampista, né finalizzatore. Che Berti fosse stato un personaggio sui generis lo si capiva dalla sua spavalderia, una sfacciataggine naturale data la giovane età. Portatore d’acqua all’occasione, gregario, ma anche trascinatore di folle. Una delle sue frasi, d’altronde, rappresenta uno degli adagi che più è stato metabolizzato e fatto proprio dalla tifoseria interista, alla stregua di quelli di un altro grande della Beneamata come Peppino Prisco. E che negli anni è rimasto, inscalfibile, come un totem, nel DNA dei tifosi bauscia: «Meglio sconfitti che milanisti».  E se non lo si amava così, beh, non si amava di certo il nerazzurro.

La scalata di Nicola Berti verso il palcoscenico del grande calcio inizia presto, prestissimo. Ha appena compiuto sedici anni quando Nicola Mora, tecnico del Parma che milita in Serie C1 ed ha appena rilevato il ruolo che era di Giancarlo Danova, lancia il neo-sedicenne nel ruolo di centravanti durante la sfida dei ducali alla Triestina, dominatrice del torneo. È il 15 maggio 1983. S’intuiscono sin da subito quanto siano elevate le potenzialità del ragazzo e, dopo un’ulteriore stagione di apprendistato, s’impone prepotentemente sulla scena insieme a diversi giovanissimi che, di lì a poco, sbarcheranno in massima serie: Mussi, Benedetti, Bia, Pin e, appunto, Berti. In molti notano la prepotenza fisica del filibustiere di Salsomaggiore: viene posizionato in diverse zone del campo per favorirne la corsa, laddove c’è bisogno di darsi da fare, il temperamento, quando c’è da fare a sportellate in mezzo al campo, la capacità d’inserimento, ogniqualvolta c’è da “far male” agli avversari.

È un profilo ibrido, cross-over, quello di Nicola. Ed in molti, nei piani alti, se ne accorgono. È la Fiorentina a battere tutti gli avversari sul tempo. La Viola ha bisogno di nuove energie. Soprattutto a centrocampo. Soprattutto dopo l’amore fallito con il dottor Socrates. La famiglia Pontello, dunque, dà il benservito al carioca e spalanca le porte a due giovanissimi di cui si dice un gran bene: Nicola Berti e Roberto Baggio. È l’estate del 1985. Entrambi impiegano poco per suscitare le simpatie della loro tifoseria e il “tuttocampista” emiliano si mette immediatamente al servizio della causa dei toscani. Festeggia il primo gol in A contro l’Inter, quasi preannunciando quel che poi sarebbe stato in grado di fare solo tre anni più tardi all’Olympiastadion di Monaco di Baviera: intercetta il pallone al limite dell’area interista e serve Massaro; Nicola mette in moto le sue lunghe leve a giri incontenibili e taglia a fette la difesa nerazzurra per cavalcare inarrestabilmente verso la porta difesa dal futuro amico, Walter Zenga. Qualcuno prova a fermarlo in tackle, ma viene spazzato via come se nulla fosse. E mentre prosegue la corsa con il pallone fra i piedi che gli ha restituito Massaro, si avvicina al numero uno avversario e lo batte con un elegante pallonetto che festeggia sotto la Fiesole.

Nicola Berti Fiorentina

Gli contestano la poca eleganza, oltre alla mancanza di una tecnica “di livello” alla quale deve supplire con la corsa per dover “rimediare” ad uno stop mancato o ad un appoggio mal calibrato. Ma a Berti non importa e va avanti per la sua strada, senza fermarsi mai. La sua crescita è continua, inarrestabile e sul suo profilo si concentrano le attenzioni delle grandi: Napoli e Inter. È l’estate del 1988 ed è quasi certo che Nicola partirà con gli Azzurri in vista dell’Europeo in Germania, ma una pallonata durante un allenamento gli consente di scoprire di avere una malformazione al rene che lo obbliga ad uno stop forzato per buona parte dell’estate. Addio sogni di gloria? Solo per quel breve lasso di tempo. La sosta gli consente di avvicinarsi all’Inter, che lo corteggia da tempo. Anche i partenopei sono interessati al suo profilo e la prospettiva di giocare al fianco di Maradona dovrebbe essere la condizione necessaria e sufficiente per dire di sì. Ma in sella ai nerazzurri c’è Giovanni Trapattoni, alla disperata ricerca di un interprete all’altezza delle aspettative per riportare la Beneamata nei piani alti della graduatoria dopo due anni di bocconi amari deglutiti ed esperimenti falliti che sublimano nell’esperienza milanese di Vincenzo Scifo.

Il presidente Pellegrini non cerca più scuse dinanzi ai suoi tifosi ed allarga i cordoni della borsa. Subito dopo l’Europeo, ecco Brehme e Matthäus. Il posto per il terzo straniero sarebbe occupato da Rabah Madjer, il Tacco di Allah, ma le visite mediche evidenziano i prolungati postumi di un infortunio e per questo viene assoldato l’esperto Ramon Angel Diaz dalla Fiorentina. A centrocampo arriva anche Alessandro Bianchi dal Cesena, mentre sono quasi sette e mezzo i miliardi che finiscono nelle casse dei viola per avere il cartellino di Nicola Berti. Nasce, da subito, un amore che dura tuttora.

Nicola Berti Inter

Il resto è storia. Il suo fare sgraziato e dannatamente concreto lo fanno immediatamente salire in cima agli indici di gradimento della tifoseria bauscia, con la quale nasce un feeling unico, irripetibile. Segna sette reti in campionato, ma il capolavoro è rappresentato dalla cavalcata nella neve di Monaco di Baviera contro il Bayern in Coppa UEFA: la telecronaca di Bruno Pizzul l’ha resa ancor più memorabile di quanto già non fosse.

L’altra parte di Milano, quella rossonera e padrona incontrastata d’Europa, lo elegge a plebiscito come “nemico” numero uno. «Per farsi dei nemici non è necessario dichiarare guerra, basta dire quello che si pensa». Era Martin Luther King ad affermarlo, in circostanze diametralmente opposte e, forse, nemmeno parificabili al nostro caso. Ma rende bene l’idea di quel che fosse Nicola agli occhi dei cugini. Un amuleto al contrario. I suoi calzettoni, puntualmente abbassati, per palesare agli avversari un senso di sfida, quasi di tracotanza. Lo affermò lo stesso Nicola: «Volevo dimostrare di essere coraggioso, volevo sfidare tutti».

E di sfide, fino al 1998, ne ha vinte tante. Insieme allo Scudetto dei Record, anche tre Coppe UEFA, due delle quali portano in calce la sua firma, ben visibile: quelle del 1991 e del 1994. In mezzo, due Mondiali disputati con la maglia dell’Italia. Due titoli sfiorati. Ma con la consapevolezza di non aver mai chinato la testa.

Nicola Berti Italia

L’addio alla maglia, formalmente, giunge all’indomani di una sfida che può valere lo Scudetto, a San Siro, contro la Juventus. In campo ci sono Djorkaeff e Ronaldo. Berti siede lì, in panchina, là dove non può dare il suo consueto contributo, se non nello spogliatoio. Ed è proprio in quei freddi giorni di gennaio che matura la decisione di dire basta: ci sarà tempo, spazio e modo per riconciliarsi con la tifoseria. La chiamata dell’amico Klinsmann lo convince ad accettare l’offerta del Tottenham: «Ricordo, di quei giorni, un solo colore: il grigio del cielo, uguale quello dei miei sentimenti. Stava svanendo tutto, sotto la pioggia gelida e tra la nebbia che voleva impedire al mio aereo di partire, direzione Londra. Che addio in sordina, per Berti, pensavo. Ero triste, ma era giusto andare» scrive Nicola in una sua “Lettera all’Inter”.

Nicola Berti Tottenham

Ma non è che un arrivederci. Berti è parte dell’Inter e l’Inter è parte di Berti. L’animo indomito, le sue corse e il suo carattere non vengono certo dimenticati. Anche perché, Nicola, rimarrà sempre il ragazzo con l’amata numero otto sulle spalle che ricorda: «Sono lì, sotto la Nord. Avviso tutti: adesso vi faccio gol. E faccio gol. Berti, sotto la Nord, contro il Milan. Quella è l’Inter!».

Oggi sono 53. Ma la sua immagine non invecchierà mai. E quel ciuffo pieno di gel, il suo sorriso sornione e l’aria disincantata lo accompagneranno sempre. Oggi più che mai.

di Nando Di Giovanni

Ultime storie