Portieri anni ’90: Peter Schmeichel
16 Maggio 2020
Una delle possibilità che ha un portiere di far sbagliare un attaccante che gli si presenta davanti, senza più nessun difensore su cui contare, è la capacità di intimorirlo, togliendogli la lucidità necessaria per pensare velocemente ed eseguire i pensieri stessi senza imperfezioni.
Nella storia, Peter Schmeichel è stato il portiere che meglio riusciva in questa strategia a metà fra la psicologia e l’atletismo, riuscendo spesso a salvare la sua porta quando ormai sembrava impossibile fermare l’attaccante. Un esempio “spaventoso” è un gol mancato da Zamorano durante un Manchester United-Inter. La palla da destra arriva dolce sulla testa del cileno. Pronto a slanciarsi in avanti per dare forza alla palla e indirizzarla in maniera semplice per segnare. Purtroppo in quella frazione di secondo vede davanti a sé la figura mastodontica di Schmeichel che si apre con le mani e con le gambe, occupando non solo la visuale ma anche la mente di Zamorano. Tutta la furia iniziale si acquieta e invece di impattare con forza il cileno appoggia la palla. Il portiere è lì, con una mano che sembra un badile, a bloccare e smanacciare allo stesso tempo, come se una zanzara l’avesse svegliato dal torpore.

Questa forza che prorompe da ogni gesto di Peter Schmeichel è evidente in ogni sua partita e in ogni azione che lo ha coinvolto. La prima volta che in Italia ci si accorge di lui è il 24 aprile 1991, quando sfida la Roma con il suo Brøndby nel ritorno della semifinale di Coppa UEFA. L’andata è terminata 0-0 grazie alla grande prova del portiere, ma è all’Olimpico, dopo il gol dell’1-1 danese che diventa un vero e proprio muro di gomma. I giallorossi arrivano con grande facilità di fronte a Schmeichel, ma per una decina di volte il pallone viene respinto, con sempre maggiore incredulità da parte degli attaccanti romanisti. Alla fine Völler riesce a bucarlo, ma resta l’idea che quel ragazzo è un portiere mai visto.

Se ne accorge Ferguson e corre a prenderlo. Dopo il primo anno in Inghilterra, si prende un bel periodo di riposo su qualche spiaggia mediterranea, quando arriva una telefonata. La Jugoslavia non può andare, c’è la guerra tra fratelli: agli Europei in Svezia dobbiamo andarci noi.
Quello che accadde lo sanno tutti. La Danimarca vince grazie a tanta generosità e corsa, una difesa tosta, due calciatori di ottimo valore, come Brian Laudrup e Povlsen, ma il grande campione è in porta. Nelle partite decisive contro Francia e Olanda è mostruoso, parando anche l’imparabile, soprattutto su Papin e Van Basten. Solo questa volta nella storia di Europei e Mondiali un portiere sarà così decisivo per la vittoria finale.
Con i Red Devils gioca otto stagioni e ingurgita quasi tutto quello che gli si para davanti. Non solo attaccanti dico, anche trofei. Vince cinque campionati, tre FA Cup, quattro Charity Shield, una Coppa di Lega, una Supercoppa UEFA e nel 1999 completa il treble con la vittoria della Champions League al Camp Nou contro il Bayern Monaco.
Era un portiere spettacolare senza fare scene strane. Lo spettacolo viene fuori da sé grazie al fatto che mai nessun portiere con un fisico così possente aveva anche un’agilità così guizzante. Prima e dopo di lui abbiamo visto portieri anche molto migliori in aspetti come la posizione, la tecnica di presa del pallone e la plasticità nelle parate, ma un gattone forzuto come lui non è ancora apparso (nemmeno il figlio, Kasper, eroe nella Premier League vinta dal Leicester e uno dei calciatori più sottovalutati del calcio moderno).
di Jvan Sica

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