Privacy Policy Quando dentro di noi avevamo già capito che li avremmo battuti a casa loro

Quando dentro di noi avevamo già capito che li avremmo battuti a casa loro

4 Luglio 2020

Se pensiamo alle sfide tra Italia e Germania ci verranno subito in mente il 4-3 ai Mondiali del 1970, alla finale del Bernabeu nel 1982 e alla corsa di Grosso dopo il gol al 118’ in semifinale nel 2006, proprio in casa loro. Che magico souvenir, quella sera. Ricordo che eravamo da soli, io e mio babbo, in un bar di un campeggio in Val d’Aosta, che solo a partita iniziata avremmo scoperto essere stato colonizzato da un gruppo di tifosi tedeschi, in vacanza nel Belpaese. Ricordo che, durante tutta la partita, ad ogni loro attacco ci mettevano pressione, e ad ogni errore nostro ci sfottevano alla grande. Non risparmiavano neanche me (ragazzino dodicenne) ogni qualvolta facessi un gesto di stizza per qualche nostra occasione mancata. Al gol di Grosso, dopo aver retto per più di due ore alle provocazioni, vidi mio babbo impazzire, salire sul tavolo del bar e fare ripetutamente il gesto dell’ombrello a tutti i componenti. Raramente l’ho visto così. Passai, in un attimo, dalla gioia del gol ad una tremenda paura di vederci pestati. Il tempo di pensarci e Del Piero aveva raddoppiato. In preda all’euforia, allora, salii sul tavolo anch’io. Il bar nel frattempo si era svuotato, altrimenti non l’avrei mai fatto, fifone come sono. Rimanemmo io e il babbo a godere come ricci, mentre i tedeschi se ne tornavano, mogi mogi, verso i loro camper.

A ripensarci bene, e con l’ausilio del senno del poi, quella sera di luglio dovevamo essere molto più convinti nei nostri mezzi, e provare molta meno paura di quanta non ne avessimo. Sì, perché proprio quella nazionale tedesca non fu battuta, ma annientata, seppur in una gara amichevole, dalla nostra Italia qualche mese prima. Era ancora freddo, i gironi di qualificazione erano terminati da diverse settimane e le squadre approfittavano delle soste dei campionati per affrontare avversari di alto livello al fine di testare, più che il rispettivo stato di forma, il tasso di affiatamento per quel gruppo che di lì a tre mesi sarebbe partito per la Germania con le migliori speranze.

Italia e Germania si affrontarono allo stadio Artemio Franchi di Firenze il 1° marzo 2006. Gli azzurri tornavano a giocare una partita nella città del Giglio dopo ben tredici anni, dopo quel famoso Italia-Messico, non tanto per il risultato (2-0), quanto per i fischi che una parte degli spettatori fiorentini rivolsero agli Azzurri, colpevoli di rappresentare una federazione ostile – a detta loro – alla squadra viola.

Quella sera di inizio marzo, invece, il popolo fiorentino si dimostrò molto attaccato alla maglia azzurra e spinse gli undici in campo a sfoderare una prestazione convincente e galvanizzante. Il C.T. Marcello Lippi convocò pressappoco l’intero gruppo che si laureò campione del mondo qualche settimana dopo. Per la precisione, in campo scesero: Buffon, Zaccardo, Cannavaro, Nesta e Fabio Grosso. A centrocampo: Camoranesi, Pirlo e Daniele De Rossi; in attacco: Alex Del Piero, Alberto Gilardino e Luca Toni, idolo della città di Firenze. dove stava segnando valanghe di gol in campionato. Ci si avvicinava, dunque, molto alla squadra tipo. Dal canto suo, anche Jurgen Klinsmann schierò una formazione competitiva, con Lehmann in porta, Lahm, Huth, Mertesacker e Friedrich in difesa, Deisler, Frings, Ballack e Schneider a centrocampo, e in attacco Podolski e Miroslav Klose.

Il calcio d’inizio fu simbolicamente fatto battere da Giancarlo Antognoni, eterna bandiera della Fiorentina e numero dieci della Nazionale campione del mondo a Spagna ’82. La partita fu un completo dominio azzurro: pronti, via e dopo appena sette minuti eravamo già sul risultato di 2-0. Dopo quattro minuti, Alberto Gilardino cominciò a prendere le giuste misure con un terreno che gli sarà amico qualche anno più tardi, concretizzando perfettamente un tap-in dopo la respinta di Lehmann sull’insidioso traversone di Fabio Grosso. Appena due minuti più tardi, Luca Toni, che invece in quel giardino faceva già faville, insaccò la palla alle spalle del portiere tedesco, su assist dello scatenato Gilardino. 2-0 e tedeschi erano completamente storditi dalla galvanizzante partenza azzurra.

La squadra di Klinsmann sembrava non capirci niente, spaesata, disorientata e frastornata dalla cattiveria e dal cinismo dei nostri. Solo al 23’ gli avversari si resero seriamente pericolosi, approfittando di una flessione della nostra difesa. Tuttavia, un perfetto Gianluigi Buffon, nell’acme della sua carriera, come dimostrerà qualche mese dopo, impedì a Deisler di ridurre le distanze tra le due squadre. I tedeschi continuarono ad essere stretti nella morsa italiana: al 30’, il risultato avrebbe già potuto essere di 4-0, se a Del Piero e a Gilardino non fosse mancata la lucidità sotto porta, a termine di due contropiedi che provavano, nuovamente, che i tedeschi, davvero, non sapevano quali contromisure prendere.

Ci penserà Daniele De Rossi a segnare il terzo gol azzurro qualche minuto più tardi, con un colpo di testa su cui Lehmann, ancora una volta, non potè far niente. All’intervallo, il risultato era quindi di 3-0 per noi. Tanta roba. Al Mondiale non ci sarà nessun Byron Moreno di turno a poterci fermare: siamo veramente forti, stavamo pensando. Dopo appena dieci minuti dall’inizio della ripresa l’Italia trovò la rete del roboante 4-0, sull’asse tutta bianconera, Camoranesi-Del Piero. Italia quattro Germania zero. Da quel momento, Marcello Lippi decise di concedere minuti importanti ad altre pedine fondamentali per l’amalgama di quel gruppo azzurro: entreranno Gennaro Gattuso, Vincenzo Iaquinta, Simone Barone, Marco Materazzi e anche Manuel Pasqual, a cui furono meritatamente concessi i primi minuti con la maglia della Nazionale nel campo su cui, in campionato, stava sfornando assist su assist (a Luca Toni), col suo cortese piede sinistro. A poco servirà il gol della bandiera del difensore Robert Huth, se non ad alleggerire una disfatta che in casa tedesca avrà non poche ripercussioni.

Sì, perché qualche mese dopo, precisamente il 4 luglio del 2006, i tedeschi quella partita di Firenze ce l’avevano ben stampata in testa. Ricordavano il muro difensivo, i nostri contropiedi e lo straordinario Buffon, uno che quelle rare volte in cui la difesa sbaglia, è pronto a rimediare con i suoi straordinari colpi di reni, e questo Ballack, Schweinsteiger e Podolski lo impareranno a loro spese. Ci temevano, i tedeschi. Ricordavano eccome la batosta del Franchi. Forse la sognavano le notti prima della sfida del Westfalenstadion.

Il resto è storia. È Fabio Grosso che disegna una traiettoria quasi impossibile. È Gilardino che ha gli occhi dietro la testa per premiare la cavalcata di Alex Del Piero. È mio babbo che sale su quel tavolo: erano davvero loro a non aver capito nulla, ancora una volta, dopo quella disfatta fiorentina che altro non era che il preludio del colpo del definitivo ko. In casa loro.

di Cosimo Bartoloni

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