Privacy Policy Samuel Eto'o, la storia di un campione di un intero popolo

Samuel Eto’o, la storia di un campione di un intero popolo

10 Marzo 2020

«The end… vers un nouveau défi». Verso una nuova sfida. Samuel ne ha affrontate tante. Vincendone tantissime. Da poco, però, è giunto il momento di dire basta. Qualche filo d’erba sarà ancora sui suoi scarpini. Tuttavia, all’alba dei 39 anni, è tempo di guardare il palcoscenico da un altro punto di vista. Calato il sipario lo scorso mese di settembre, ora Samuel Eto’o ammira il gran carrozzone del calcio da dietro le quinte. È ancora fresco il suo annuncio dell’addio, giunto lo scorso mese di settembre.

Samuel Eto’o contro il razzismo

La prima sfida, forse la più importante, è quella che lo contraddistingue sin dalla più giovane età: la lotta al razzismo. Ci vuole carattere, quello che non gli manca, per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema che, da sempre, rappresenta un cancro della società: senza tempo e senza confini. In Spagna, in Italia, in Inghilterra, su tutto il globo. Ambasciatore dell’uguaglianza e dei diritti, Samuel non ha mai chinato la testa dinanzi all’ignoranza di chi lo apostrofato con termini irripetibili. E anzi, con la medesima decisione si è sempre preso la responsabilità delle sue azioni, con dichiarazioni forti che hanno messo a nudo la pochezza di chi denigra per il colore diverso della pelle. Come quella volta che, appena sbarcato a Barcellona, dichiarò: «Sgobberò come un negro per vivere come un bianco». Sono diversi gli episodi che, durante la sua esperienza nella penisola iberica, lo colpiscono in prima persona. E lui, per tutta risposta, ha risposto con i fatti, dritto e secco: a Saragozza, dopo una rete, esulta ballando come una scimmia davanti al pubblico che mima gesti da primate e gli lancia noccioline. E con lui, ad accompagnarlo, Deco, compagno di squadra. Un gesto efficace più di una campagna pubblicitaria? A dirlo è lo stesso Samuel Eto’o: «Sì, credo che valga di più. Tutto serve se si deve combattere il razzismo, ma una campagna pubblicitaria alla fine ha solo uno scopo: il denaro. Alla fine del messaggio compare un marchio. Io non ho marchi, se non il mio colore. Io sono nero e tocca prima a me fare qualcosa». Anche in Italia, purtroppo, gli ululati lo hanno accompagnato durante le trasferte dell’Inter. Come quella volta a Cagliari, nell’ottobre 2010, bersagliato da insulti non udibili né ripetibili. L’ignoranza è un mostro contro il quale lottare quotidianamente, ma Eto’o si è sempre distinto per la forza e la veicolazione efficace dei suoi messaggi e delle sue azioni. Tanto da diventare ambasciatore UNICEF. Impegnato su due fronti, lotta al razzismo e contrasto alla povertà, Eto’o è noto per le sue iniziative benefiche nella sua terra d’origine: la Fundacion Privada Samuel Eto’o, infatti, aiuta i ragazzi e i giovani in difficoltà del Camerun, consentendo loro di poter coltivare sogni ed avere un futuro. Proprio come quelli del piccolo Samuel. 

Samuel Eto’o cresce

Sono passati più di venticinque anni quando il giovane Samuel, di Nkon in Camerun, corre dietro ad un pallone sui campi polverosi che l’Union de Douala mette a disposizione di ragazzini della Kadji Sports Academy, un giorno, sognano di diventare grandi campioni. In quel formicaio brulicante d’entusiasmo, grida e piedi – spesso e volentieri – a contatto col nudo terreno, si fa spazio un bimbo del 1981 che fa impallidire anche gli avversari più grandi di lui. D’altronde, il giovane Samuel lotta tutti i giorni per coronare il sogno di diventare grande fra i grandi, per guadagnarsi da vivere facendo quel che meglio gli riesce: giocare al calcio.

Nella squadra della megalopoli del Camerun meridionale, Samuel Eto’o ci è arrivato da lontano. Cresciuto in un sobborgo alle porte della capitale Yaoundé, si è spostato fin sulle sponde dell’Oceano Atlantico per trovare l’ambiente adatto alla sua crescita, umana oltreché sportiva. I ragazzi dell’accademia hanno la possibilità di giocare in un club che storicamente ha fornito un cospicuo numero di giocatori alla causa dei Lions Indomptables, i Leoni Indomabili, fra cui si ricorda Joseph-Antoine Bell, nominato dall’IFFHS “Portiere africano del secolo”, davanti anche a Thomas N’Kono.

Samuel Eto'o Real Madrid
Credits: Phil Cole /Allsport

Lì ci sono i presupposti per mettersi in mostra e, infatti, le sue doti non sfuggono agli osservatori del Real Madrid. Ha appena quindici anni quando Samuel viene cooptato dalle Merengues che lo portano all’ombra del Santiago Bernabeu per fargli respirare l’aria inebriante di chi sa di essere vicino alla realizzazione di un obiettivo. Il più importante della vita. Entra nella cantera blanca e i tecnici notano che il ragazzo ha la stoffa, eccome. Lo status di extracomunitario, però, gli impedisce di esordire con le squadre minori del sodalizio madrileno e la dirigenza, dunque, opta per il prestito al Leganes, club di Segunda Division.

Samuel Eto'o Leganes

Grazie ai Pepineros Samuel Eto’o mette in mostra il suo talento al grande pubblico e, alla fine dell’anno 1997-98, sono tre le reti messe in fondo al sacco in ventotto apparizioni. Un buon bottino, considerando che Samuel non è ancora maggiorenne. Ciò basta al Real Madrid per capire di avere fra le mani un calciatore dall’avvenire radioso: dopo l’esordio in Liga contro l’Espanyol, va proprio al Montjuïc per cercare di accumulare ulteriori minuti nella massima serie, senza particolare successo. L’annata che ci ha traghettato verso il nuovo millennio inizia sotto un’altra stella: l’avvicendamento sulla panchina merengue di Toshack e Del Bosque non gli impedisce di scendere due volte in campo in Liga e ben tre in Champions League.

Samuel Eto'o Maiorca

Tuttavia, non basta. Samuel Eto’o ha la smania di far vedere davvero cosa sa fare e, per questo, arriva il trasferimento al Mallorca che gli assicura un minutaggio congruo alle aspettative del camerunense. Con i maiorchini il periodo d’ambientamento è molto più breve ed impiega poco tempo per segnare la sua prima rete ufficiale. I Barralets credono in lui, tanto da decidere di versare la cifra di quasi cinque milioni di euro nelle casse dei Galacticos per avere il cartellino del giovane africano.

I trionfi con il Barça

Il rendimento aumenta costantemente, tanto da sublimare nella stagione 2003-04 con il bottino complessivo di diciassette reti che, oltre ad inserirlo nella storia del club isolano alla voce di miglior marcatore del club nella Liga, scatena l’interesse dei più grandi club in Spagna ed Europa. Il Barcellona è la squadra che riesce a convincere con argomentazioni consistenti sia il club che il giocatore: nelle casse dei rossoneri vanno 27 milioni di euro, mentre al centravanti viene data la possibilità di guidare l’attacco della squadra più forte d’Europa. Il tecnico è l’olandese Franklin Rijkaard e nei suoi schemi Samuel è il braccio armato di un dispositivo d’attacco che prevede alle sue spalle Deco, Ronaldinho e Giuly. La prima al Nou Camp viene archiviata con il titolo di Campioni di Spagna e con la medaglia d’argento nella classifica dei marcatori, superato soltanto da Diego Forlan del Villarreal.

Samuel Eto'o Barcellona

L’anno successivo viene suggellato dalla vittoria in Champions League, maturata al Saint Denis contro l’Arsenal, mentre nella Liga si festeggia il bis al quale si aggiunge il titolo di Pichichi. Ormai Samuel Eto’o è in rampa di lancio: è decisivo per la vittoria della coppa dalle grandi orecchie grazie alla rete del temporaneo pareggio che lancia la rimonta completata da Belletti e si guadagna anche il titolo di miglior giocatore della partita. Se dal punto di vista tecnico l’ascesa di Samuel appare inarrestabile, ben due infortuni ne rallentano la crescita: nel settembre del 2006 il menisco cede, costringendolo per cinque mesi lontano dai campi, l’estate successiva, invece, la rottura parziale del tendine del retto anteriore della coscia destra durante il Trofeo Gamper contro l’Inter lo ferma per due mesi. Nonostante quest’ultimo stop, riesce comunque a laurearsi miglior marcatore della squadra in campionato.

Eto'o Barcellona

Tuttavia qualcosa cambia all’interno dello spogliatoio blaugrana: Rijkaard viene sollevato dopo le due ultime annate parche di soddisfazioni per il collettivo catalano e sulla panchina si siede Josep Guardiola. L’arrivo sulla panchina dell’ex centrocampista-simbolo del Barcellona rappresenta un vero e proprio uragano che chiude un capitolo per aprirne uno nuovo, rivoluzionario. Vanno via Deco e Ronaldinho, offuscati dall’astro di Messi, ormai nuovo re del Nou Camp. Il rapporto con il tecnico non è idilliaco e la nuova idea di calcio di Pep non si confà, almeno nelle idee del tecnico, alle caratteristiche tecniche di Eto’o con il quale si scontra numerose volte durante l’anno. Nonostante ciò, il Barça vive una stagione indimenticabile, centrando il Triplete anche grazie alle reti dell’attaccante camerunense che, nonostante le continue frizioni, sigla la bellezza di trenta reti. Un bottino cospicuo che, però, non basta per laurearsi capocannoniere: a fargli lo sgambetto è ancora una volta l’uruguaiano Diego Forlan che, stavolta con la maglia dei Colchoneros dell’Atletico Madrid, ne realizza addirittura trentadue.

Samuel Eto'o Triplete Barcellona

Il carattere, l’orgoglio, la consapevolezza di aver fatto la storia di uno dei club più prestigiosi al mondo sono fattori alla base delle personalità dei duellanti: uno è in campo, l’altro in panchina. Ma entrambi sono dalla stessa parte. Ciononostante non si sana una frattura così profonda, le cui prime crepe si sono fatte vedere durante l’anno e di cui oggi, ancora, si sente ancora la eco. In una recente intervista, infatti, ha affermato: «È l’allenatore che mi ha dato il miglior messaggio, ho davvero imparato a giocare a calcio con Guardiola. Lo interpreta meglio di tutti. È il suo modo di trasmettere le informazioni che lo rende diverso. È il migliore anche se perde le partite. Sono innamorato di lui come allenatore, non come persona».

Triplete nerazzurro

Le condizioni per cambiare aria ci sono tutte e quando da Milano giunge la notizia che Zlatan Ibrahimovic vuole far lo stesso, Inter e Barcellona si attivano per effettuare uno scambio che consenta ad entrambi i tecnici, Mourinho e Guardiola, di essere felici e soddisfatti. Qualcuno all’ombra della Madonnina storce il naso dopo l’addio dello svedese in cambio di un giocatore, sì fortissimo, ma apparentemente lontano dagli stilemi del calcio italiano. Lo accoglie un manipolo di giornalisti, i tifosi sono pochi: «Ho fatto la storia a Barcellona, ma quella storia adesso è finita. All’Inter comincia una nuova storia, riparto da zero, mi piacerebbe vivere una nuova avventura e spero che tutto vada bene». Chissà se l’ha mai immaginato, Samuel Eto’o di essere profeta di se stesso. Con Mourinho in panchina, l’obiettivo neanche tanto malcelato è quello di centrare l’agognata Coppa Campioni, diventata Champions League nel frattempo, che manca da ormai 35 anni. Con il portoghese in panchina e con il pubblico di fede interista nasce un rapporto di strettissima e vicendevole stima, di cui diventa immediatamente beniamino.

Samuel Eto' all'Inter

La lunga via che porta alla finale di Madrid nel 2010 è tortuosa ed impervia sin dall’inizio, ma è soprattutto grazie al suo aiuto ed alla sua esperienza in campo internazionale che i nerazzurri superano in slalom gli avversari, paletto dopo paletto: segna gol decisivi contro il Rubin Kazan e contro il Chelsea nella sfida di ritorno allo Stamford Bridge. La vendetta, poi, è un piatto che va servito freddo e il fato dà ad Eto’o ed a tutto l’ambiente interista la ghiottissima opportunità di fermare il cammino di Ibra e dell’odiato Barcellona verso la semifinale. Dopo il 3-1 di San Siro, al Nou Camp va in scena una sfida epica in cui Samuel veste i panni dell’eroe sportivo, dirottandosi sulla fascia e svolgendo il ruolo di un vero e proprio terzino per sopperire all’uomo in meno dopo l’espulsione di Thiago Motta. Al triplice fischio, la tanto sospirata remuntada blaugrana si compie a metà ed a festeggiare sono gli interisti ed Eto’o. Nella cornice del Santiago Bernabeu, il 22 maggio 2010 una doppietta del suo collega di reparto, Diego Milito, consegna la Champions nelle mani degli interisti e permette a Moratti di continuare lungo il solco tracciato da suo padre anni prima. Vince così il secondo Triplete consecutivo: è il primo giocatore al mondo a festeggiarne due consecutivi, per di più con due squadre diverse.

Samuel Eto'o Champions Inter

«Il mio passaggio all’Inter fu l’accordo migliore della storia del calcio. La chance che Pep mi ha dato lasciandomi partire mi ha permesso di diventare una parte ancora più grande della storia del calcio e soprattutto ha permesso all’Inter di completare l’affare più vantaggioso della storia del calcio». Fra tutte le sue doti, forse, l’umiltà non è la più spiccata. Ma, se ci si pensa, a conti fatti non gli si può dar così torto. Il suo secondo anno, è il migliore in termini realizzativi: con Benitez e Leonardo in panchina raddoppia lo score dell’anno passato, arrivando a quota 37 gol complessivi, di cui ventuno in campionato.

L’ultimo Samuel Eto’o

È un leader dentro e fuori dal campo, ma con l’idea di non metter mai radici, soprattutto se sulla sua scrivania viene posto un assegno che gli consentirebbe di diventare il giocatore più pagato al mondo. Makhachkala non è Milano, ma quando Kerimov, presidente dell’Anzhi, stacca un assegno da oltre venti milioni di euro, ogni resistenza può esser facilmente vinta. È il 2011 quando Eto’o saluta il nerazzurro per trasferirsi in Daghestan dove raggiungerà Roberto Carlos, Zhirkov e Dzsudzsák per ambire al titolo di campione di Russia. Il magnate spende e spande alla ricerca di campioni, con il chiaro obiettivo di «mettere Makhachkala sulla mappa geografica». Arriveranno anche William e Diarra, poi Hiddink in panchina, ma nonostante gli sforzi del numero uno, neanche l’aiuto del camerunense riesce a coronare il sogno dettato dalla lucida follia di Kerimov.

Eto'o Anzhi
Credits: KIRILL KUDRYAVTSEV/AFP/GettyImages

La sua esperienza in Russia dura due anni: è il 2013 quando lo chiama il Chelsea che ha appena riaffidato il timone a José Mourinho. Il rapporto con il portoghese non è stato mai idilliaco, ritmato puntualmente sul pentagramma del più classico degli odi et amo. Se ad inizio stagione le parole verso lo Special One sono di assoluta stima – «Prima di lavorare insieme non ci conoscevamo e il nostro rapporto era teso. Ora è un amico, una bravissima persona dentro e fuori dal campo» – il rapporto s’incrina con l’andar dei mesi. In occasione di un’intervista, a chi gli chiedeva una dichiarazione sull’attaccante camerunense, il portoghese off the records aveva ironicamente messo in discussione la sua reale età: «Il problema del Chelsea à che ci manca uno che faccia gol. Ne ho uno ma ha 32 anni, o magari 35, chi lo sa?». Nonostante le smentite, ormai la frittata era fatta. E se Samuel Eto’o ci ha insegnato qualcosa, oltreché far gol, è quello dell’ironica vendetta. In occasione di una sfida contro il Tottenham, dopo una sua rete, Samuel va verso la bandierina, ma la sua corsa si fa d’improvviso caracollante, finché quasi goffa: si porta la mano verso l’indietro per simulare un mal di schiena. «Sono vecchio? Non faccio gol? Sarà, io intanto faccio gol» sembra rispondere a Mourinho sugli schermi di tutta l’Inghilterra.

Eto'o Chelsea

È l’ultimo squillo in Blues del camerunense che si avvia verso la fine della sua carriera. Dopo un 2014 trascorso a metà fra la sponda Toffee di Liverpool e quella blucerchiata di Genova, l’epilogo dorato in Turchia con le maglie dell’Antalyaspor – con cui realizza il record assoluto di 38 reti in campionato – e del Konyaspor, prima dell’ultima avventura in Asia con il Qatar SC.

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