Privacy Policy I 15 acquisti sbagliati del Napoli dal 1990 al 2006 - Pagina 3 di 3

I 15 acquisti sbagliati del Napoli dal 1990 al 2006

2 Aprile 2021

5. Gabriel Miguel BORDI (1999-00)

Corsi e ricorsi storici, insegnava il filosofo napoletano Giambattista Vico. Nel 1999 il procuratore argentino Gustavo Mascardi è il principale attore dell’arrivo di Josè Luis Calderon a Napoli. Solamente due anni dopo, non contenti dell’esito infausto dell’avventura italiana dell’attaccante che in comune con Ronaldo aveva solo la testa rasata, a Napoli decidono di dare ancora fiducia a Mascardi. Questa volta il mediatore argentino porta tale Gabriel Miguel Bordi, ma almeno la società ha il buongusto di limitare l’esborso prendendo El Tanque in prestito. Altro che German Denis: è lui, infatti, il primo a fregiarsi di questo soprannome che si è guadagnato nell’anno precedente con i suoi ventidue gol nella seconda divisione argentina. «Sono una punta alla Vieri. Non dico della sua forza, ma con le sue caratteristiche». Gabriel si presenta così. La tocca piano, come avrebbe detto la Gialappa’s, con umiltà e senza creare aspettative. Quella di Bordi, però, non sarà una vita da bomber. Due scampoli di partita, uno in Coppa Italia e il secondo, nonché ultimo, alla terza giornata. Il resto della stagione la vive da turista stipendiato, prima di tornare in argentina al Quilmes. A parte un campionato allo Sporting Braga (2002-03) in Portogallo, Bordi vivrà da nomade del calcio minore tra Argentina, Uruguay e Spagna, vivacchiando soprattutto nelle serie meno nobili del regno iberico, vestendo le maglie di Polideportivo Ejido e Linares dove continuerà a faticare per trovare la via del gol. Una vita da bomber mancato. 

4. William PRUNIER (1997-98)

«Non sarà un adone, ma vi assicuro che è un giocatore di grande efficacia». Così commentò l’acquisto del centrale francese il presidentissimo Corrado Ferlaino. Uno che circa dieci anni prima aveva comprato dal Barcellona un certo Diego Armando Maradona. Comunque, se il massimo dirigente napoletano aveva probabilmente ragione sull’aspetto fisico, si sbagliava, e non di poco purtroppo, sul rendimento del difensore ex Montpellier, Copenaghen e, udite udite, Manchester United. Fu infatti l’amico Eric Cantona, compagno del giovane William nelle giovanili dell’Auxerre, a caldeggiarne l’acquisto a mister Alex Ferguson. Il futuro baronetto lo schiera due volte e alla seconda partita, persa 1-4 contro il Tottenham Hotspur, Willy ne combina talmente tante da conquistarsi un posto tra i sei peggiori giocatori della storia dei Red Devils. Con la maglia del Napoli fa il bis: in occasione della trasferta da incubo all’Olimpico contro la Roma che termina 6-2 per i giallorossi. Prunier è eletto miglior giocatore… della Roma. La sua marcatura su Balbo è pura teoria, perché la pratica e il referto dell’arbitro raccontano che l’argentino ne fa tre, come le presenze che il centrale francese colleziona con il Napoli. L’Italia, come già l’Inghilterra, non fa per Prunier, che se ne va in Scozia, agli Heart of Midlothian. Poi milita nel Kortrjik in Belgio e nel Tolosa, in patria. Chiude nell’Al-Sailiya Sports Club, in Qatar nel 2004. 

3. CAIO Ribeiro Decoussau (1996-97)

Il “pacco” brasiliano arriva dalla nebbiosa Milano. Caio Ribeiro Decoussau era infatti una sorta di “raccomandato” di Roberto Carlos. I dirigenti nerazzurri lo acquistano convinti anche dalla investitura di Caio quale miglior giocatore del Mondiale Under 20. La realtà però è ben diversa. Poca tecnica, ancor meno incisività, ma una assoluta predisposizione alle relazioni sociali. Caio, che rilasciava autografi con lunghe dediche più simili a lettere che a firme, prese casa a Via Monte Napoleone per godersi lo shopping esclusivo del centro città e si iscrisse alla facoltà di Economia. Da qui il nome di Doutorinho, dovuto non solo ai capi firmati sfoggiati dall’attaccante carioca. Insomma, un rampollo della Milano da bere, più che un atleta. Capita l’antifona, Moratti spedì il calciatore a Napoli. L’astuto Caio si presentò come il nuovo Careca. La media gol di Antonio de Oliveira Filho rimane però lontana, soprattutto perché alla voce gol fatti in venti presenze la casella riporto uno zero tondo tondo. In compenso, però, sono tante le giocate da rabbrividire. Il “pacco” a fine stagione ritorna al mittente, in Brasile, dove concluderà la sua carriera nel 2006 con il Botafogo, non prima di aver calcato i prestigiosi campi della Zweite Liga con il Rot Weiss Oberhausen nel 2003-04.

2. EDMUNDO Alves de Souza Neto (2001)

‘O Animal approda nel golfo di Napoli nel gennaio 2001, dopo l’esperienza con la Fiorentina fatta di molte ombre e poche luci di circa due anni prima. A Napoli le luci si dissolvono fin da subito per lasciare spazio al buio della retrocessione in serie B. Lo score personale dell’attaccante brasiliano recita quattro marcature su diciassette presenze, decisamente poche per uno con i suoi mezzi tecnici. Ma nell’esperienza napoletana di Edmundo non può di certo mancare una maxi-multa di duecento milioni a causa di un litigio con il tecnico di turno, il compianto Mondonico. Con questi numeri non servirebbe aggiungere che, a fine stagione, il riscatto, fissato a diciotto miliardi, non viene esercitato. Edmundo continua a indossare gli scarpini da calcio in Giappone e in Brasile, ritrovando la via del gol, per poi appenderli nel 2009. L’ultima casacca è quella del Vasco da Gama, il club che lo aveva lanciato giovanissimo e lo aveva salvato dalla povertà e dalla delinquenza, ma non dalla sua indole folle.  

1. José Luis CALDERON (1997-98)

Probabilmente a Napoli suo nome rappresenta l’acquisto errato per eccellenza. Il fallimento di un colpo di mercato partito con squilli di tromba e finito nell’assordante rumore dei fischi. Alla prima in Coppa America ’97 è lui titolare nell’Albiceleste sperimentale di Passarella, che però ne riduce il minutaggio negli incontri successivi. È un primo indizio, ma a Napoli non se ne curano. Poi, un po’ perché le casse societarie sono abbastanza vuote e le alternative sul mercato non ci sono e un po’ perché in società sono effettivamente convinti che uno che veste la maglia dell’Argentina un brocco non possa essere, i dirigenti napoletani decidono di puntare sul El Caldera. Vorremmo almeno poter dire che I Ciucci superano la concorrenza di altri club europei, ma non è così. Ad Avellaneda arrivano solo gli emissari del Napoli, che lo “strappano” – senza alcuna resistenza dei dirigenti argentini – all’Independiente versando nelle casse rossoblu 7,5 miliardi. A Napoli Calderon è costante, ma nel fallimento. Cambiano gli allenatori, ben quattro nel corso della stagione da incubo per la squadra, ma lui non viene mai considerato. Impossibile non citare il nostro Carletto Mazzone che, sollecitato da Ferlaino sull’impiego del giocatore per non svalutare l’investimento fatto, arriva alla minaccia: «A presidé, guardi che j’ò faccio giocà pe’ davero, eh!». A fine anno, Calderon viene rispedito ad Avellaneda nonostante il puntero sudamericano richiedesse più tempo per adattasi paragonando i suoi problemi alle vicissitudini già vissute da alcuni suoi illustri connazionali come Maradona, Balbo Crespo e Batistuta. L’umiltà, questa sconosciuta. Dopo sei misere presenze e nessun gol all’attivo, José prende il volo di sola andata per l’Argentina da Capodichino. E pensare che alla presentazione aveva detto di voler superare Angelillo (trentatré gol con il Napoli), salvo accontentarsi di arrivare a quota trenta. Senza il tre davanti, però. 

Andrea Tomassi