Privacy Policy Raffaele Di Fusco e tutti i secondi portieri che hanno segnato un'epoca

Raffaele Di Fusco e tutti i secondi portieri che hanno segnato un’epoca

6 Ottobre 2021

Il dodicesimo uomo. Quello vero, però. L’epopea del calcio che la Dea Eupalla verga sulle pagine della storia è caratterizzata da uomini che assurgono al titolo d’eroi immortali, le cui imprese si perdono nei tempi. Celebrati con le stigmate della divinità squisitamente sportiva. Spesso e volentieri i protagonisti hanno calzoncini e calzettoni, danzano con la sfera fra i loro piedi ed incantano le colorate masse che si assiepano sugli spalti ed ora, ahinoi, sempre più sovente sul divano di casa.

Gli eroi, però, talvolta hanno anche i guantoni. Solitari tra i pali, guardiani estremi di Colonne d’Ercole che costituiscono il confine labile tra la vittoria e la sconfitta. I portieri. Grandi uomini ed atleti, troppo spesso emarginati dalle dinamiche della ribalta squisitamente calcistica. Ed invece la storia ne è piena. L’Italia, poi, non ne parliamo. E com’è che si suol dire? Dietro ad un grande uomo, c’è sempre una grande donna. Vero, verissimo. E, facendo nostro questo assunto, lo trasliamo pedissequamente nel significato, non nella forma che, tuttavia, ci permette di affermare come Dietro ad un grande portiere, c’è sempre un gran secondo portiere.

All’ombra di monumenti, i secondi portieri hanno rappresentato la prima avanguardia di un calcio monolitico che stava pian piano adattandosi ai tempi. Sono stati i primi ad avere la facoltà di sedere in panchina e di sostituire, in caso di infortunio, il portiere titolare. C’è chi ha saputo sfruttare l’occasione per fare le cosiddette scarpe al più celebre collega – ci vien da pensare al giovanissimo Buffon, con buona pace di Bucci – o chi, invece, ha subito dalla panchina la “dittatura dei guanti da titolare” di personaggi del calibro di Zoff – basti pensare a Giancarlo Alessandrelli, celebre vice del friulano – e Bordon.

In questo nostro viaggio, cogliendo l’occasione del compleanno di Raffaele Di Fusco, ripercorriamo le storie dei secondi portieri più “secondi” di tutti che, per anni, hanno popolato i nostri album delle figurine, rivelandosi scudieri fedeli al servizio del numero uno. Sul campo, eh.

Marco BALLOTTA

Credits: Martin Rose/Bongarts/Getty Images

La lunga, lunghissima parabola tracciata dal portiere nato a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, in realtà, nasce lontana dai pali. Lì, infatti, ci finisce quasi per caso: «Avevo undici o dodici anni quando avvenne il vero e proprio “passaggio”. Avevo già provato in precedenza, ma non “scattò la scintilla”. Tuttavia, sebbene giocassi in un’altra parte del campo, ricoprivo anche il ruolo di secondo portiere. In occasione di una trasferta dovetti indossare all’ultimo minuto la numero uno: titolare fra i pali. E così proseguì per tutto il resto dell’anno – prosegue Marco – finché l’anno successivo la mia squadra si ritrovò a disputare i campionati giovanili con il Bologna. Alcuni emissari mi notarono e, dopo due provini, si convinsero ad ingaggiarmi. I guantoni divennero così i miei inseparabili compagni di viaggio». Dopo aver battuto il record d’imbattibilità con il Modena di Renzo Ulivieri – solo una rete subita in casa e nove complessive – viene acquistato dal Cesena nell’autunno del 1990 per far da vice ad Alberto Fontana. Dopo l’annata in Romagna, l’esperienza a Parma, durante la quale strappa il posto da titolare a Taffarel per poi far da chioccia a Bucci. Con Brescia e Reggiana torna a vestire la maglia numero uno, ma la sua affidabilità che migliora di pari passo con la sua maturità, convince gli allenatori di Lazio ed Inter che lo vogliono con loro per avere la necessaria sicurezza tra i pali in caso d’indisponibilità del titolare. Ed è così che Marco giunge a stabilire record su record: dopo aver riassaporato il piacere della titolarità con Treviso e Modena, riesce a diventare il giocatore più anziano a scendere in campo in Champions League, all’età di quarantaquattro anni. Altro che uomo. Una leggenda.

Luciano BODINI

Metti che esordisci in Serie A parando un calcio di rigore a Renato Curi. Metti che il tuo rendimento consente alla tua squadra di resistere per due anni nella massima serie. Metti, dunque, che un giorno squilla il telefono. E metti che all’altro capo della cornetta c’è Giampiero Boniperti. Metti che ti proponga di vestire la maglia numero dodici, come riserva del più grande portiere italiano, al secolo Dino Zoff, prospettandoti di crescere alle sue spalle per poter, un giorno, diventare portiere della Juventus. Chiunque, ivi compreso il sottoscritto, non ci avrebbe pensato due volte. Anche alla luce di considerazioni anagrafiche. Ed è lo stesso Luciano a testimoniarci il suo pensiero: «Sapevo che sarei stato il dodicesimo, ma anche che Zoff non era più giovanissimo. Arrivai alla Juventus quando Zoff aveva trentotto anni e io venticinque: pensai che avrei potuto trovare spazio, considerata la sua età. Doveva ritirarsi ed invece è andato avanti fino a quarant’anni». Dal 1979 al 1983 Luciano non riesce minimamente a scalfire la granitica resistenza di Dino fra i pali. Quando Zoff decide di dire basta, Bodini auspica finalmente di raccogliere i frutti di una lunga ed estenuante – ma tollerabile – attesa. Succede, invece, che Trapattoni sceglie di affidare la maglia numero uno al promettente portiere dell’Avellino: Stefano Tacconi. Passa un altro anno con la maglia dodici addosso. Tuttavia, quando le sue speranze di vedersi titolare della Juventus scemano umanamente, Bodini trova un inatteso alleato proprio nel carattere bizzoso del portiere umbro che viene retrocesso a dodicesimo: finalmente è il momento di Luciano. In campionato, nonostante le cose non vadano per il meglio, si fa notare per gli interventi precisi e spettacolari. La stoffa non è stata intaccata dalla naftalina. Inoltre, c’è la corsa in Coppa dei Campioni da portare avanti. Ed il dualismo fra Bodini e Tacconi prosegue fino alla vigilia della finalissima dell’Heysel, quando Trapattoni decide di “tirare al galoppo” i suoi cavalli per decidere chi schierare titolare contro il Liverpool. La scelta, però, cade proprio sul talentuoso Tacconi. Ed è qui che, sostanzialmente, finisce la carriera di Bodini. Rimane con la maglia dodici addosso fino al 1989, per poi far da secondo a Peruzzi nel Verona ed a Zenga nell’Inter, prima del ritiro che avviene a trentasette anni. Il dodicesimo per eccellenza. Anche così si può passare alla storia.

Antonio CHIMENTI

Credits: Martin Rose/Bongarts/Getty Images

Cosa fa muovere ogni giorno un ragazzo di quarant’anni se non la passione viscerale per il gioco del pallone? È sicuramente questa la motivazione che ha spinto Zucchina Chimenti fino al 2010 a vestire i panni di vice-Buffon. Antonio non è stato solo un valido scudiero, un Sancho Panza al servizio del Don Chisciotte di turno, ma un portiere capace di assicurare grandi prestazioni ogniqualvolta lo si chiami in causa. Cresce in una casa dove sin da piccoli la merenda è costituita da pane e pallone: figlio di Francesco e nipote del mitico Vito, il piccolo Antonio predilige il ruolo tra i pali. Ed ha talento, tanto talento. Ha diciotto anni quando lo chiama la Sambenedettese – che disputa il suo ultimo anno di Serie B – e lì rimane per tre anni a farsi le ossa. Poi Tempio Pausania e Monza, prima della grande opportunità che gli viene concessa dalla Salernitana. Antonio non impiega assai ad aggiudicarsi il ruolo da titolare in maglia granata, mettendo insieme oltre cento presenze. Le sue prestazioni vengono notate da Zdenek Zeman che lo chiama alla Roma per vestire il ruolo di vice-Konsel, ma un infortunio dell’austriaco lo proietta tra i pali per gran parte della seconda stagione. Da qui il Lecce: rimane in Salento per tre anni, prima della grande esperienza alla Juventus – inframezzata dalle parentesi con Cagliari ed Udine – sodalizio al quale si lega fino al termine della carriera.

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