Privacy Policy I giocatori ad aver vinto la Coppa delle Coppe con due squadre diverse

I giocatori ad aver vinto la Coppa delle Coppe con due squadre diverse

24 Agosto 2021

Diciamoci la verità: ne sentiamo la mancanza.

Ci manca come i primi cellulari indistruttibili, come la cabina telefonica quando pioveva, come il rullino delle foto che portavamo a sviluppare.

Sono più di vent’anni che ce l’hanno tolta, ma la Coppa delle Coppe è rimasta nel cuore di tutti noi che vent’anni non li abbiamo più.

Ci manca perché abbiamo visto trionfare squadre impronosticabili, come il Malines, il Saragozza, la Dinamo Kiev e chi comincia ad avere qualche capello bianco ricorderà anche le vittorie della Dinamo Tbilisi dei grandi e tragicamente scomparsi Kipiani e Shengelija, dell’Aberdeen del leggendario portiere Leighton e del rosso Gordon Strachan che in finale superò lo strafavorito Real Madrid o addirittura del Magdeburgo, squadrone della blindatissima Germania dell’Est che ebbe la meglio sul Milan di Rivera, Benetti e Bigon, con in panchina un allenatore giovanissimo di nome Giovanni Trapattoni.

Ci manca perché le squadre italiane arrivavano quasi sempre in fondo e spesso quella coppa la alzavano pure: la Fiorentina nel lontano 1960-61, il Milan per due volte nel 1968 e nel 1973, la Juventus vincente in finale con i gol di un super Beniamino Vignola e del “bello di notte” Zibì Boniek contro il Porto di Joao Pinto, Jaime Pacheco e del bomber Gomes, la Sampdoria di Boskov con doppietta nei supplementari di un immenso Vialli ai danni dell’Anderlecht, Parma di Nevio Scala coi timbri di Minotti, Melli e Cuoghi contro i belgi dell’Anversa della stella Czernyatinski, Lazio nell’ultima edizione, vincitrice in finale sul Maiorca allenato da Hector Cuper, grazie alle segnature di Bobo Vieri e Pavel Nedved.

E c’è chi quella coppa è riuscito a vincerla due volte, addirittura con due maglie diverse; si tratta di grandi nomi, calciatori che hanno fatto la storia di questo sport, quindi, se durante la lettura scende la lacrimuccia, non preoccupatevi, è una reazione assolutamente normale.

Marco BALLOTTA

Fare il portiere fa bene alla salute: chiedetelo a Dino Zoff, a Gigi Buffon, a Lamberto Boranga (quest’ultimo a quasi 80 anni continua a fare sport e non vede l’ora che la pandemia finisca per tornare a giocare a calcio). O chiedetelo a Marco Ballotta, uno con la faccia del tuo vicino di casa, che di arie non se n’è mai date nonostante avesse tutte le carte in regola per poterlo fare. Ha difeso la porta di un sacco di squadre dal Tevere in su, sempre con la solita serietà e il medesimo entusiasmo, dalla Champions ai dilettanti, a vent’anni come a cinquanta inoltrati, dove si è anche reinventato attaccante, peraltro con ottimi risultati. Un esempio di un uomo modesto e capace, forte e non potente, come avrebbe detto il maestro Gianni Brera. Durante la militanza con  Parma e Lazio ha vinto moltissimo: uno scudetto, tre coppe Italia, una Supercoppa italiana, due Supercoppe europee e, appunto, due Coppe delle coppe. Detiene ancora tanti record difficilimente battibili: giocatore più anziano ad aver giocato sia in Serie A che in Champions League, nonché primato di imbattibilità nelle gare interne della durata di quasi un anno. Carattere schietto, da antidivo, Ballotta resta uno dei calciatori più ammirati e non solo per la sua longevità sportiva, ma anche e soprattutto per la sua lealtà in campo e fuori e per la professionalità esemplare con cui ha sempre affrontato i suoi impegni. E chissà che fra trent’anni non lo si veda ancora difendere i pali di una qualsivoglia squadra; i riflessi no, ma di sicuro l’entusiasmo sarà quello di sempre.

Fernando COUTO

Difensore arcigno, duro e risoluto, tanto, forse troppo. Temutissimo dagli avversari, ma anche dai suoi compagni di squadra: celebri infatti i durissimi scontri con Mancini, col Cholo Simeone e addirittura col suo amico e compagno di nazionale Sergio Conceicao. E guai a mancargli di rispetto, avrebbe rincorso il colpevole anche in tribuna, pur di vendicarsi. Ma era impossibile chiedergli di cambiare, Fernando Couto in campo era così; piantava i canini nel collo dell’attaccante e non mollava la presa, se non per andare a saltare (e spesso segnare) sui corner o sulle punizioni, vista la sua straordinaria abilità nel gioco aereo. Roccioso ma elegante e inconfondibile anche per via della sua folta chioma, il difensore portoghese ha vinto moltissimi trofei in carriera durante la sua militanza con club prestigiosi come Porto, Barcellona, Lazio e Parma. In Nazionale, invece, malgrado la squadra portoghese fosse fortissima, non riuscì mai a vincere nulla, se non un mondiale Under-20 nel lontano 1989; al contrario, ancora oggi in Portogallo è cocente la delusione per la sconfitta a sorpresa in finale all’Europeo di casa del 2004 contro la Grecia. In quella finale Fernando Couto rimase in panchina e sono in molti a pensare che se fosse stato in campo, Charisteas quella palla di testa non l’avrebbe mai presa. Lasciò il calcio a quasi quarant’anni, dopo la retrocessione del suo Parma in serie B.

Ivan DE LA PEÑA

Nasce a Santander nel maggio del 1976 e fin da piccolo dimostra abilità calcistiche non comuni. Viene notato da alcuni osservatori del Barcellona e portato in Catalogna, dove Johan Crujiff riesce a ritargliargli uno spazio a centrocampo che Il Piccolo Buddha spagnolo saprà gestire e ottimizzare in modo mirabile. Insieme con Guardiola in mezzo al campo e con attaccanti come Figo, Ronaldo e Stoichkov, quel Barcellona, pur non riuscendo a superare la concorrenza del Real in campionato, mostra un calcio moderno e scintillante. De la Peña brucia le tappe e a neanche vent’anni è considerato un fenomeno, un giocatore con un futuro a dir poco raggiante. Seguiranno un paio di stagioni ancora ad alti livelli, sempre in maglia blaugrana ma con Bobby Robson alla guida; tuttavia, con l’arrivo di Van Gaal, De la Peña viene messo gradualmente ai margini, troppo indisciplinato e geniale per seguire pedissequamente gli schemi rigidissimi del trainer olandese: sente quindi che è giunto il momento di cambiare aria e accetta la non trascurabile offerta della Lazio (un quadriennale di oltre sei miliardi di lire a stagione). Da quel momento, il piccolo Buddha si smarrisce e comincia un declino neanche troppo lento che lo porta in basso alle gerarchie della squadra. In prestito a Marsiglia continua ad essere l’ombra di sé stesso. Sarà a Barcellona, sponda Espanyol, che De la Peña tornerà a giocare in modo continuo e convincente, quantunque i fasti del passato siano solo uno sbiadito ricordo, eccetto in un paio di occasioni, tipo l’annata del 2004-2005 e il derby del 2009 contro la sua ex-squadra, in cui Lo Pelat (altro suo soprannome in Catalogna) segnerà le due reti che permetteranno all’Espanyol di superare gli odiati cugini blaugrana. Resta un mistero il perché dell’atrofia di un talento così florido; Ronaldo il fenomeno, non certo l’ultimo arrivato, di lui disse: “Ivan è il miglior giocatore che abbia visto nella mia vita e con cui abbia interagito”. Vince la Coppe delle Coppe col Barcellona nel 1997 e si ripete, ancorché da comprimario, con la Lazio nell’ultima edizione del torneo, quella del 1999.

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