Privacy Policy I migliori bomber di provincia scelti e raccontati da Dario Hubner

I migliori bomber di provincia scelti e raccontati da Dario Hubner

28 Aprile 2020

Cristiano LUCARELLI

La carriera del più grande dei fratelli Lucarelli si lega in maniera indissolubile alla sua Livorno. Il Torino si è tenuto il miliardo, Cristiano ha seguito i suoi colori per amore ed è riuscito nell’impresa di trascinare la sua squadra verso il sogno della Serie A. Questo traguardo non è altro che la sublimazione di sogni e determinazione che, fondendosi insieme, hanno dato l’eternità a chi non verrà ricordato “solo” come un giocatore, ma come un simbolo. La rincorsa di Cristiano, tuttavia, è lunga: sin da giovane lo accompagnano i crismi del predestinato e nelle giovanili del Perugia fa così tante faville da colpire una vecchia volpe come Castagner. Capocannoniere nel torneo Primavera, il Cosenza ne coglie subito le potenzialità e lo mette sotto contratto: matura e non fa rimpiangere un big come Marco Negri, passato proprio al Grifone. “Bomber fisico e di stazza, grazie alla sua mole aveva grandi capacità di proteggere la palla. Ciononostante, Cristiano era anche in grado di condurre le manovre in contropiede. Un attaccante completo. Quello che i difensori non vorrebbero mai affrontare”. Ne ha di ragione Darione Hubner e, difatti, le sue qualità vengono notate dalle grandi di A. Passa velocemente al Parma, raccoglie il testimone di Inzaghi all’Atalanta e viene scelto da Ranieri nel suo Valencia. Rinasce con la maglia del Lecce (27 reti in 59 partite) e si guadagna la chiamata del Torino (10 reti in 56 gare). Con il ritorno del Livorno fra i cadetti, accetta di dimezzarsi lo stipendio, pur di difendere i colori della sua città: il risultato è straripante. In quattro anni porta i labronici fino ai sedicesimi di Coppa UEFA: in totale saranno 111 gol in 192 gare (compresa una seconda parentesi di un anno). Il palmares in Toscana si arricchisce con il titolo di capocannoniere di Serie A conquistato con le 24 realizzazioni messe a segno nella stagione 2004-05. Lucarelli si leva diverse soddisfazioni anche con Shakhtar Donetsk (segnando in Champions League), Parma (riportato immediatamente in Serie A) e Napoli, dove termina la carriera.

Stefan SCHWOCH

Largo al re: 135 squilli di tromba per annunciarsi come si conviene. A tanto ammonta il bottino di reti accumulato negli anni da Schwoch, centravanti per antonomasia, che gli consente d’essere incoronato come miglior marcatore di sempre della Serie B. I suoi numeri fanno impressione, in particolar modo se si considera che la sua cavalcata verso il primato assoluto della serie cadetta è iniziato all’età di 27 anni. Non certo un giovincello di primo pelo. Tuttavia, la fame di gol senza eguali ha fatto del ragazzo di Bolzano un punto di riferimento nell’universo degli attaccanti: “Stefan era il classico centravanti d’area piccola – conferma Hubner – ed era impressionante. Somigliava moltissimo a Igor Protti, almeno fisicamente. I suoi più grandi pregi erano il senso del tempismo e l’astuzia per approfittare degli errori degli avversari e capitalizzare al meglio i palloni vaganti in area. Un serpente sempre pronto a mordere”. Dopo i primi passi in provincia tra Crevalcore, Pavia e Livorno, è il Ravenna a puntare su di lui per tentare la risalita in Serie B: con 21 gol alla fine dell’anno, Schwoch si laurea capocannoniere e porta i giallorossi fra i cadetti. Nel 1996 si cementa il sodalizio che rappresenterà la sua fortuna calcistica: alla guida dei romagnoli arriva Walter Novellino e nasce uno dei rapporti più prolifici che la cadetteria ricordi. L’anno successivo, il tecnico lo vuole con sé a Venezia per la scalata alla Serie A: obiettivo raggiunto senza problemi. Dopo una breve parentesi in A coi lagunari che gli frutta due reti, l’arrivo a Napoli a campionato in corso che non porta alla sperata promozione. Ci vuole Novellino per far sì che ciò accada e puntualmente il centravanti non tradisce le attese: con 22 reti eguaglia Vojak per numero di reti segnate in una stagione (record poi migliorato da Cavani ed Higuain). Ma è destino che Schwoch non brilli in Serie A. Dopo una stagione in crescendo col Torino che gli frutta un’altra promozione, l’arrivo a Vicenza, di cui diventa eterno capitano e cannoniere nelle ultime sette stagioni della sua incredibile carriera: al “Romeo Menti” gonfia la rete 74 volte in 220 apparizioni. 

Roberto MUZZI

Credits: Grazia Neri/ALLSPORT

Mentre stiamo leggendo, Roberto Muzzi starà festeggiando i trent’anni dal suo esordio in Serie A. Era il febbraio del 1990 quando Luigi Radice lo proiettò nel mondo dei grandi. Ci aveva visto lungo l’ex tecnico, fra le altre, di Milan, Torino e Fiorentina. Il ragazzo di Marino aveva fiuto e senso del gol. Tuttavia, davanti a lui c’erano mostri sacri come Völler, Rizzitelli e Balbo negli anni di permanenza a Roma. Dopo un incoraggiante campionato con la maglia del Pisa, è il Cagliari ad offrirgli la possibilità di mettersi in mostra sul palcoscenico più prestigioso d’Italia. In cinque anni, Muzzi va in rete per ben 58 volte nelle 144 partite disputate. Con questo score, si guadagna la chiamata dell’Udinese che, all’epoca, è una delle piazze con maggiori velleità d’alta classifica. Per ben due anni su quattro è il miglior marcatore dei friulani e nei 103 match di campionato disputati, va a segno in 39 occasioni. Ritrovatosi ai margini del progetto bianconero, nel 2003 firma con la Lazio ed esordisce anche in Champions League, ma il suo passato romanista non gli semplifica la vita. Non arrivano le tanto sospirate valanghe di gol: in quel momento la Lazio vive un momento di ristrutturazione societaria e l’atmosfera non è serena. Tuttavia, Muzzi trova il tempo di segnare il gol del 3-3 di Palermo che vale la salvezza dei biancazzurri. C’è aria di smobilitazione in riva al Tevere nel 2006, tant’è che quando arriva la chiamata del Torino di Cairo non ci pensa su due volte. Non va in gol con la regolarità di un tempo, ma quando lo fa, si fa sentire. Roberto Muzzi, infatti, è ancora uno degli idoli della curva Maratona. Dopo le otto segnature accumulate in campionato, mette a segno una delle reti contro il Mantova che valgono la promozione in Serie A, mentre l’anno successivo sigla allo stadio Olimpico e proprio contro la “sua” Roma – seppur non abbia mai nascosto la fede laziale – la rete che consegna la salvezza matematica ai granata. Termina la carriera in Serie C con la casacca biancoscudata del Padova, senza però perdere lo smalto di un tempo, seppur gli anni siano passati anche per lui. 

Riccardo ZAMPAGNA

Tante, forse spesso si è abusato della locuzione “centravanti operaio”. Beh, per quel che concerne il caso di Riccardo Zampagna, invece, è quanto mai doverosa una sottolineatura: prima operaio, poi centravanti. Forse uno degli esempi più fulgidi che, a nostra memoria, rappresenta la scalata verso il calcio che conta da parte di un ragazzo che ha conquistato il massimo palcoscenico alla soglia dei trent’anni: “Era un gran bel centravanti, Riccardo. Ricordo in lui ­­– sottolinea Dario Hubner – il classico ruolo dell’uomo-reparto, in grado di sopportare da solo il peso dell’attacco. Bravo di testa, spettacolare e con una tecnica di base invidiabile. Un numero nove completo”. Cresciuto nell’hinterland di Terni, Zampagna si divide fra il lavoro di tappezziere ed il gioco del pallone, salendo i gradini che, dalle categorie più basse, lo portano fin sull’Olimpo del calcio italiano. Dal campionato d’Eccellenza umbro con l’Amerina, Riccardo aumenta i giri del suo motore e segna gol con regolarità: dal CND con il Pontevecchio (13 gol in 27 apparizioni), ecco la chiamata in C2 della Triestina, poi ancor più in su agli ordini di Cosmi con la maglia dell’Arezzo. È il 1999 quando approda al Catania e, quindi, in orbita Gaucci: lo acquista il Perugia, ma non fa in tempo ad esordire in Serie A per andare a farsi le ossa tra Cosenza, Siena e Messina, fino all’amata Ternana che trascina alla soglia dei play-off con 21 reti in 41 partite. Le sue prestazioni non passano inosservate ed il Messina decide di acquistarlo definitivamente per bagnare il suo ritorno nella massima serie. L’esordio è indimenticabile: segna con una palombella da stropicciarsi gli occhi il gol del definitivo 4-3 contro la Roma nella prima partita nel nuovissimo stadio San Filippo e, dopo tre giorni, firma il gol del sorpasso a San Siro contro il Milan che vale l’1-2 definitivo dei peloritani. Forse tocca qui il suo punto più alto. Sono 12 i gol alla prima stagione in A, poi le esperienze con l’Atalanta (11 reti nel 2006-07) fino al termine della sua carriera a 36 anni con 165 realizzazioni messe a segno. La classe operaia è stata davvero in Paradiso.

Francesco FLACHI & Fabio BAZZANI

Un fil rouge attraversa la storia recente della Sampdoria. Qualcosa di etereo che accomuna i protagonisti in maglia blucerchiata con le fortune del club ligure: i grandi risultati sono sempre passati tra i piedi dei gemelli del gol. Sopportare il peso di Vialli e Mancini non è semplice, così come tracciar la strada che porta verso Cassano e Pazzini. Beh, nel mezzo ci sono proprio Flachi e Bazzani che hanno lasciato un segno indelebile nel cuore dei doriani. S’incontrano nel 2002 in una Sampdoria che manca il ritorno in Serie A da ormai tre tornei. Con Novellino in panchina, finalmente il folletto di Firenze ha un partner d’attacco che ne esalta le doti: nasce una delle coppie più affiatate che abbiano infiammato gli spalti del Luigi Ferraris e la promozione immediata in Serie A non è che una logica conseguenza. Sono nove i gol di Flachi, insieme ad una mole incredibile di assist per l’ariete Bazzani che scaglia in fondo alla rete ben quindici palloni. S’innesca una macchina perfetta, la cui potenza aumenta sempre di più, man mano che passano le settimane. Il ritorno in Serie A è trionfale e i due fanno faville in attacco: al termine del torneo, la Sampdoria si attesta all’ottavo posto, a soli quattro punti dall’Europa. Ci sono le condizioni per crescere, eppure qualcosa nella stagione successiva s’incrina nel rapporto fra il centravanti bolognese ed il tecnico. Seppur la squadra viaggi a vele spiegate verso la Champions League – mancata di un solo punto – Bazzani non riesce ad esprimersi ai livelli passati e decide di passare durante la sessione invernale del mercato alla Lazio. I sei mesi di “purgatorio” sono utili all’attaccante ed al tecnico per riappacificarsi, mentre nel frattempo è Flachi a portare in alto il vessillo della Samp. Il ritorno nel 2005 non porta agli esiti sperati e, nel giro di breve tempo, il meccanismo s’inceppa. Rimarranno uno al fianco dell’altro fino al 2007, sostenendosi nelle alterne fortune finché s’è condiviso lo stesso spogliatoio. In totale, nell’arco di cinque anni insieme, la coppia ha prodotto 82 gol: 33 sono a firma di Bazzani, 49 da parte di Flachi.